L’Editoriale

Accordo Iran. La scelta di Bibi

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 8 aprile 2015

Di fronte all’accordo-quadro raggiunto con l’Iran, Netanyahu si trova di fronte ad una scelta complessa. Dopo l’immediato frontale rifiuto espresso dopo la notizia, può continuare la sua campagna cercando di far saltare l’accordo, puntando sulla maggioranza repubblicana in entrambi i rami del Congresso USA, ed anche sull’appoggio di molti rappresentanti democratici, per appoggiare la proposta di legge presentata da Bob Corker, Presidente della Commissione Relazioni Estere del Senato, in base a cui ogni accordo finale raggiunto con Teheran sarebbe sottoposto al voto del Congresso.

Per superare il già annunciato veto presidenziale, la proposta dovrebbe superare i due terzi dei voti, e quindi dovrebbe contare anche sul voto di molti democratici. Si aprirebbe così una crisi istituzionale di proporzioni inedite, e la residua autorità di Obama sarebbe ridotta a zero.
La campagna contro ogni accordo con l’Iran, condotta da Netanyahu in tutti questi anni, era culminata con il suo discorso dinanzi alle Camere riunite del Congresso USA, lo scorso tre marzo.
Agitando lo spettro dell’atomica iraniana, il Premier israeliano ha ottenuto una inaspettata vittoria nelle ultime elezioni, smentendo clamorosamente tutte le previsioni che lo davano per sconfitto, ed ora sta lavorando alla formazione del nuovo governo di centro-destra, anche se molti continuano a premere per un governo di unità nazionale.

Ma in sostanza ha rinunciato ad ogni possibilità di incidere nel merito del negoziato in corso. La cesura dei rapporti con il Presidente USA, verificatasi dopo il suo discorso al Congresso, vissuto da Obama come un affronto personale, e rafforzata dagli ultimi interventi di Netanyahu in chiusura di campagna elettorale, contro la nascita di uno Stato palestinese e contro “gli arabi israeliani che andavano a votare in massa su bus pagati da potenze internazionali”, ha finito in sostanza per rendere Obama più libero nei confronti dell’Iran.

Ora, Netanyahu deve decidere se andare avanti ad oltranza sulla strada intrapresa, o abbassare gradualmente i toni, e cercare di influire sui contenuti del negoziato finale che dovrebbero concludersi entro giugno, come gli suggeriscono molti commentatori e anche alcuni autorevoli esponenti legati ai servizi segreti del paese.

E’ quanto in sostanza gli ha chiesto lo stesso Obama, con una telefonata conciliante effettuata subito dopo l’annuncio dell’accordo. Vi sono molti aspetti su cui i due alleati possono lavorare insieme, dalle comuni esigenze di vigilanza sugli accordi raggiunti, alla possibile reazione congiunta in caso di mancata ottemperanza degli iraniani ai patti stabiliti.

Vi è un altro elemento, più sostanzioso e appetibile, su cui la parte israeliana potrebbe lavorare: la concessione di interventi sostanziali, volti a riequilibrare i problemi di sicurezza che possono aprirsi per il paese: da accordi volti ad estendere l’ombrello di difesa USA su Israele, a più immediati rifornimenti militari, in termini di aerei da combattimento, missili antimissile e via dicendo.

Ma vi è un altro aspetto, più politico, su cui Netanyahu potrebbe far leva. Gli USA avevano dichiarato di non opporsi più, in linea di principio, alla presentazione di una proposta di risoluzione sul conflitto israelo-palestinese al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma che avrebbero valutato nel merito proposte e contenuti. La fine del veto automatico contro ogni risoluzione su questo tema.

Tutti stanno aspettando la nuova proposta di risoluzione della Francia, in coordinamento con diversi paesi europei, a cominciare dagli inglesi e dai tedeschi, proposta che era stata sospesa in vista delle elezioni israeliane. Ora non è da escludersi che, per abbassare il tono del confronto rispetto alla bozza di accordo con l’Iran, venga richiesto da Israele e venga accettato dagli americani di cercare di accantonare o di rinviare o a mali estremi di votare contro la risoluzione, rinnovando il veto. Parigi val bene una messa, ed anche Teheran: la Palestina può attendere.

Il Presidente palestinese Mahmoud Abbas deve quindi sperare nella caparbietà di Netanyahu.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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