L’Editoriale

Studenti israeliani rapiti: Abbas alla prova stretto tra Hamas, Netanyahu e le elezioni

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:17 giugno 2014

Il rapimento dei tre giovani israeliani, studenti della yeshiva (scuola religiosa ortodossa) di Kfar Etzion in Cisgiordania, segna una importante escalation nella situazione. La scuola è situata nell’area C, sotto totale controllo israeliano, ma questo non ha impedito ai rapitori di svanire nel nulla insieme alle loro vittime, come già era accaduto con il soldato Gilad Shalit, rapito da Hamas nel giugno 2006, a Gaza. Shalit fu restituito nell’ottobre 2011, in cambio della liberazione di 1027 prigionieri palestinesi, dopo un laborioso negoziato tra Israele e Hamas, mediato dagli egiziani.

In questi giorni la prima priorità è sapere se i tre ragazzi sono ancora vivi, o se per sfuggire alla caccia i rapitori possano averli barbaramente uccisi. Hebron, la più grande città palestinese presso cui è localizzato l’insediamento da cui vengono i ragazzi, è in stato d’assedio, i rastrellamenti e le perquisizioni si susseguono insieme agli arresti. Ma fino ad ora le ricerche si sono mostrate infruttuose. Ma certo vengono al pettine numerose questioni, su cui è impossibile sorvolare.

Il mondo intero aveva riconosciuto, nel giro di una settimana, il nuovo Governo di Unità palestinese, formato da tecnocrati e sorretto da Fatah e Hamas. Ora, dopo il rapimento, mentre Hamas e Jiad islamico inneggiano all’operazione, Fatah si trova in grande difficoltà.

Gli impegni solennemente presi con la Comunità Internazionale e in primo luogo con gli USA, erano che il nuovo governo avrebbe rispettato i tre principi del Quartetto (USA, Russia, Europa e ONU): riconoscimento di Israele, rinuncia alla violenza e rispetto dei trattati pregressi. Ora il Presidente palestinese Mahmoud Abbas si trova a doverli rispettare, sia pure sotto tono. Solo oggi è arrivata la sua condanna per l’accaduto, e la assicurazione data a Netanyahu, in una ormai rara telefonata, sulla massima collaborazione delle forze di sicurezza palestinesi nella ricerca dei rapiti.

Ma così facendo egli si espone agli attacchi e alle accuse di tradimento di Hamas, che è stato lesto a capitalizzare l’ondata emotiva creata nella società palestinese per rafforzare le sue posizioni rispetto all’alleato-antagonista Fatah, nonché a quelli dello Jiad Islamico. Abbas non può ignorare i sentimenti della sua popolazione, che esulta per l’operazione e spera che da essa possa derivare una nuova ondata di prigionieri liberati, come già fu per Shalit. Questo dopo che Israele non ha mantenuto l’impegno di liberare il quarto gruppo di 24 prigionieri previsti dall’accordo stipulato all’inizio della mediazione Kerry, provocandone in maniera determinante la fine.

Secondo diversi sondaggi, le previsioni elettorali attribuivano ad Hamas un netto calo a Gaza, dove la sua azione di governo è stata più asfissiante e oppressiva, ma un forte incremento in Cisgiordania, arrivando a prevedere anche un fifty-fifty. Non si può certo escludere che, se si arrivasse a elezioni palestinesi, previste all’inizio del prossimo anno, la vittoria possa andare nuovamente ad Hamas, come nel 2006, anche per il sistema elettorale vigente che per il 50% prevede collegi uninominali, favorendo le scelte unitarie di Hamas rispetto alla folla di competitor di Fatah. E questo spiega perché probabilmente queste elezioni non si faranno, l’importante è che vengano annunciate.

Israele, dal canto suo, pur nell’angoscia che accomuna popolazione e governanti, può proclamare che i richiami di Netanyahu, sul carattere terroristico di Hamas e sulla inconciliabilità della sua presenza tra i sostenitori del governo insieme a Fatah erano fondati, e chiedere alla Comunità internazionale che cosa resta degli impegni ricevuti nelle settimane passate.

Sul versante interno, ovviamente, Netanyahu può contare sul senso di rassemblementnazionale di fronte alla crisi, e le voci critiche che si stavano levando rispetto alla conduzione del negoziato con i palestinesi e al crescente isolamento internazionale del paese sono ammutolite. Tutto dipende da cosa avverrà nei prossimi giorni, ma la quiete che pareva dominare dopo la fine dell’iniziativa Kerry è stata violentemente strappata, e ora sarà difficile trovare un nuovo punto di equilibrio.

Questa analisi è stata pubblicata su The Huffington Post.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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