L’Editoriale

Israele, il governo che verrà

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:15 marzo 2013

Anche se non sono mancate le scaramucce dell’ultima ora (sulla nomina a vicepremier di Lapid e Bennet), il nuovo governo israeliano è ormai in dirittura di arrivo.

La prima clamorosa novità è l’esclusione delle formazioni religiose ortodosse, lo Shas, sefardita, e Degel Hatorah, aschenazita. Questi partiti sono stati fino ad oggi quasi sempre al potere, sia con i governi di destra che di sinistra, costituendo l’ago della bilancia tra i due poli. Proprio per questo, sono riusciti ad ottenere per la loro base elettorale favori sproporzionati, dall’esenzione dal servizio militare per i giovani che studiano nelle scuole talmudiche, le yeshivot, agli enormi finanziamenti per tenerle in piedi. A questo si è accompagnata una crescente pressione integralista sulla società, con le manifestazioni spesso violente contro gli autisti che transitano di sabato nei quartieri ortodossi, o il blocco in quel giorno del trasporto pubblico.

Di più, l’inserimento di un così esteso numero di giovani nelle yeshivot ha finito per sottrarli al mercato del lavoro, con la conseguenza che un intero settore della popolazione vive a carico dello Stato, della collettività. Un privilegio fattosi oramai insopportabile. Infine, il potere di interdizione dei partiti religiosi ha fatto sì che istituti quali il matrimonio e il divorzio possano essere applicati solo seguendo il rito delle diverse fedi, e non attraverso procedure civili.

Contro queste imposizioni è andata crescendo l’insofferenza della società, sottoposta alla dura sfida della crisi economica globale, e sempre meno disposta, soprattutto nella sua componente più giovane, ad accettare i diktat della ortodossia religiosa.

Su questo è stata costruita in larga misura l’affermazione di Yair Lapid, neo-Ministro delle Finanze, carismatico leader di Yesh Adit, il nuovo partito laico di centro-sinistra, che ha conquistato 19 seggi alla Knesset (su un totale di 120), classificatosi secondo dopo la coalizione guidata da Netanyahu, Likud Beitenu, che ha conquistato 31 seggi, perdendone però 11 rispetto a quelli detenuti in precedenza.

L’elemento caratterizzante questa lunga trattativa è stato l’asse stabilitosi tra Yair Lapid e Naftali Bennett (nuovo Ministro dell’Economia e del Commercio, leader del Partito sionista religioso Habayit Hayehudi, 12 seggi). I due hanno costruito una tenaglia su Netanyahu (insieme assommano 31 seggi, quanto Likud Beitenu), costringendolo a trattare da posizioni di debolezza e ad accettare dopo grandi resistenze l’esclusione dei religiosi.

Negli accordi figura la progressiva chiamata alle armi, o al Servizio Civile Nazionale alternativo, di larga parte dei giovani ortodossi, e il deciso taglio delle sovvenzioni alle yeshivot.

L’alleanza Lapid – Bennett è giocata essenzialmente sui problemi interni, che in questa fase sono prioritari nel paese. La società vuole liberarsi dalle eccessive pastoie e dalle posizioni di favore, chiedendo coraggiose liberalizzazioni e lotta contro le concentrazioni e i monopoli, a cominciare da quello della compagnia aerea di Stato, El Al.

Diverso è il discorso sulla politica estera, dove le posizioni tra i due divergono drasticamente: Lapid vuole il rilancio del Processo di pace, mentre Bennett ha proposto l’annessione del 60% della Cisgiordania, ed è stato il portavoce dei coloni.

Tuttavia Bennett ora vuole crearsi una immagine di statista, di possibile futuro successore di Netanyahu. Quindi eviterà gli eccessi propagandistici, e verrà utilizzato dal premier come elemento di contrappeso nell’esecutivo, rispetto alle accresciute forze di centro-sinistra, che ora possono contare complessivamente su 25 seggi, rispetto ai 5 del governo uscente.

Oltre a Lapid, del Governo fa infatti parte anche Tzipi Livni, già leader di Kadima, e ora a capo di una formazione che ha avuto 6 seggi, HaTnuah.

La Livni è stata la prima a stringere l’accordo di governo, conquistando il portafoglio della Giustizia oltre a quello dell’Ambiente, e soprattutto la delega a presiedere il Comitato per il negoziato con i palestinesi, cui era già stata preposta come Ministro degli Esteri, durante il governo Olmert.

Certo, Livni sarà soggetta al controllo, oltre che della Knesset, dello stesso premier, che si è riservato l’interim degli Esteri (in attesa che il processo al ministro uscente, Lieberman, chiarisca la sua posizione), nonché il controllo della Difesa. Comunque, ogni possibile accordo di pace sarà sottoposto a referendum. Tuttavia, qualche spazio per il rilancio negoziale pare aprirsi, alla vigilia della prima visita in Israele del Presidente Obama.

L’analisi è stata pubblicata sull’Huffington Post.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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