L’Editoriale

Israele, l’alternativa che manca

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 29 novembre 2012

Nel giorno della discussione all’Assemblea Generale dell’ONU, sul riconoscimento della Palestina come Stato non membro, forte è l’attenzione e la preoccupazione in Israele: dopo il sì annunciato dalla Svizzera, Spagna, Austria e Danimarca, anche il Governo inglese sta considerando la possibilità di un voto favorevole. La posizione dell’Italia, che aveva proposto una astensione comune a livello UE, è ancora discussa ai massimi livelli.

Quanto a Israele, dopo le minacce iniziali di Lieberman, in caso di approvazione, di considerare decaduti gli accordi di Washington e di bloccare il pagamento delle dogane dovute ai palestinesi, i toni si sono abbassati.

Sono servite le pressioni degli USA, decisi a non indebolire ulteriormente il Presidente Palestinese Mahmoud Abbas, dopo il forte rafforzamento di Hamas a causa della crisi di Gaza. Gioca anche la volontà di Israele di non enfatizzare troppo la sconfitta politica che si annuncia all’ONU, e di non favorire il crollo della Autorità Nazionale Palestinese, con il rischio di doversi nuovamente assumere la responsabilità della popolazione civile sotto occupazione.

Ma l’attenzione dei policy makers israeliani, in questi giorni, è concentrata sulle prossime elezioni politiche. Le carte si stanno rimescolando profondamente. Il Likud, partito dell’attuale premier Netanyahu, si presenterà insieme a Yisrael Beitenu, il Partito del Ministro degli Esteri Lieberman, con una aggregazione marcatamente di destra. Un sondaggio del 23 novembre attribuisce loro, insieme, 37 seggi, mentre i due partiti separatamente ne avevano 42. Tuttavia Netanyahu avrebbe la quasi certezza di ottenere il maggior risultato, rispetto agli altri partiti, garantendosi così l’assegnazione del primo incarico, da parte del Presidente Shimon Peres. D’altro canto, lo stesso Lieberman, famoso per le sue posizioni populistiche e fortemente antiarabe, verrebbe così sdoganato, qualificandosi per una futura successione a Netanyahu.

Lo spostamento a destra del Likud è stato certificato anche dalle primarie di quel partito, sanzionando la sconfitta degli elementi più “politici” e aperti al negoziato, come i ministri uscenti Michael Eitan, Benny Begin e Avi Dichter, e lo stesso Vice-Premier Dan Meridor, mentre al 14° posto si è classificato l’esponente di estrema destra Moshe Feiglin. Primi classificati, i giovani leoni vicini al Premier, il Ministro dell’Educazione Gidon Sa’ar e quello dell’Ambiente Gilad Erdan.

Se i sondaggi testimoniano, come si è detto, una qualche preoccupazione per lo spostamento a destra di questa formazione, essi prevedono comunque una vittoria della coalizione di centro-destra, con una possibile maggioranza di 70 su un totale dei 120 seggi della Knesset.

Verticale il crollo di Kadima, guidato da Shaul Mofaz, che aveva deciso prima di entrare e poi di uscire dal governo Netanyahu: un Partito che nelle precedenti elezioni si era classificato primo, con 28 seggi, ed ora se ne vede attribuiti 2.

Tzipi Livni, la leader che aveva guidato Kadima prima di Mofaz, ha annunciato in questi giorni una nuova formazione, “The Movement.”. Il suo tentativo sarebbe quello di federare tutta l’area di Centro Sinistra, ma è assai dubbio che ce la faccia. Aveva proposto un’alleanza a Yair Lapid, leader della nuova formazione “Yesh Atid” (accreditata di 9 seggi), ma ne aveva ricevuto un rifiuto.

Quanto a Ehud Barak, che per restare Ministro della Difesa era uscito dal Labour, fondando un suo Partito, accreditato di 4 seggi dopo le recenti operazioni a Gaza, ha annunciato il suo ritiro dalla vita politica, dopo le prossime elezioni, marcando un sostanziale stop nella sua parabola politica.

Il Labour, invece, viene dato in sostanziale ripresa, a 22 seggi, ma questo non basta a recuperare il divario con la destra.

Ciò che manca al Centro sinistra è una alternativa credibile, anche come statista. Potrebbe esserlo Ehud Olmert, Premier prima di Netanyahu: ma le numerose e non risolte pendenze giudiziarie sono un ostacolo ancora difficile da superare.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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