L’Editoriale

La spinta americana

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 24 settembre 2010

È certamente significativo che Obama abbia dedicato larga parte del suo intervento alla Assemblea annuale dell’ONU al processo di pace in Medio Oriente, rilanciando la speranza di un suo esito positivo entro l’anno che è previsto per la conclusione dei negoziati diretti, ripartiti all’inizio di settembre dopo una pausa di venti mesi.

“Quando verremo qui l’hanno prossimo”, ha affermato, “potremo avere un accordo che ci porti ad avere un nuovo membro delle Nazioni Unite, uno stato indipendente di Palestina, che viva in pace con Israele”.

Non che manchino i problemi, naturalmente. Proprio in questi giorni, le trattative appena iniziate sono già a rischio, per la scadenza della moratoria di dieci mesi sulla costruzione degli insediamenti in Cisgiordania proclamata dal governo israeliano, e i palestinesi minacciano di abbandonare il negoziato se essa non sarà prorogata.

Ma proprio il vigore posto dal Presidente USA nel suo intervento fa capire che forse qualche soluzione si sta individuando, probabilmente simile a quella trovata per Gerusalemme Est, con una limitazione di fatto se non annunciata ufficialmente. Il Presidente palestinese, Mahmud Abbas, ha dichiarato in questi giorni, nel suo incontro con i leader ebraici americani, che ritiene sbagliato abbandonare il negoziato, pur ribadendo la richiesta di una proroga di tre mesi.
I palestinesi, d’altronde, dopo un avvio in cui avevano espresso totale sfiducia nelle possibilità di un dialogo serio con Netanyahu, paiono aver modificato il loro atteggiamento (significativo l’infittirsi degli incontri tra i due leader, l’ultimo dei quali si è svolto presso la stessa residenza ufficiale del Premier israeliano). La discussione si sta concentrando sui confini e sulla sicurezza, i due elementi che, una volta definiti, possono risolvere la stessa questione degli insediamenti, chiarendo quali sono destinati a restare sotto sovranità israeliana in cambio di scambi territoriali, e quindi dando la possibilità di costruirvi senza problemi e polemiche.

Un altro elemento significativo, nell’intervento di Obama, è il ripetuto riferimento al pericolo che proviene dalle “forze del rifiuto e dell’odio”, che rischiano di far deragliare il processo in atto. Verso alcune di queste forze, nelle ultime settimane, la diplomazia statunitense ha sviluppato una rilevante iniziativa, con le visite dell’inviato speciale Mitchell in Siria e in Libano, latore di un messaggio preciso: il negoziato inizia con i palestinesi, ma poi continuerà con voi, per arrivare ad una pace globale in tutta l’area, come previsto dal Piano arabo di pace. Una mossa rivolta anche a ricercare un abbassamento delle iniziative aggressive da parte di Hezbollah e di Hamas, che in questi giorni ha ripreso a lanciare i suoi razzi sulle città israeliane di confine. Il quotidiano israeliano Haaretz ha dato altresì notizia dell’apertura di canali diplomatici informali con lo stesso Iran.

Parallelamente, il leader statunitense ha fatto appello alle forze arabe moderate perché sostengano il processo di costruzione dello Stato palestinese, e moltiplichino le aperture verso Israele, sviluppando le premesse contenute nel Piano Arabo di pace del 2002. Un intervento ispirato, che si rivolge al mondo tenendo d’occhio la prossima scadenza delle elezioni americane di mezzo termine, in cui tutti i sondaggi prevedono una sconfitta democratica ed una parallela affermazione dei repubblicani.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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