L’Editoriale 

Kadima-Labour, doppia vittoria per governare Israele

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 30 marzo 2006

La affermazione di un nuovo grande Partito di centro come partito di maggioranza relativa, con 29 deputati su 120, rappresenta una novità storica per Israele.
La vittoria di Kadima era prevista, ma è risultata nettamente inferiore alle previsioni. Il favore dei sondaggi può aver danneggiato il partito, favorendo l’astensionismo, così come la contestuale formazione del governo palestinese di HAMAS, che può aver accresciuto i timori per l’annunciato ritiro dalla Cisgiordania. Olmert, il nuovo leader, è intelligente e determinato, ma certo gli manca la statura e il prestigio di Sharon.
Questo partito, dunque, non è l’invenzione o il capriccio di un leader oggi morente, ma è il risultato di una complessa evoluzione di un intero gruppo dirigente, di una parte del Likud che alla prova dei fatti si è convinto che in termini di pura repressione non si poteva riuscire ad avere ragione della rivolta nazionale palestinese, e ad assicurare sicurezza alla popolazione israeliana.
A questa presa di coscienza hanno dato un contributo determinante le proiezioni demografiche di Sergio Della Pergola, il grande studioso italo-israeliano, che hanno dimostrato come il mantenimento dell’occupazione sui territori palestinesi avrebbe portato in breve gli ebrei a divenire minoranza nel paese, snaturando così il carattere ebraico dello Stato di Israele, o minandone irrimediabilmente la natura democratica, se ai palestinesi divenuti maggioranza non si fossero riconosciuti pari diritti.
La nuova concezione difensiva, annunciata da Sharon nel dicembre 2003, che si sarebbe sostanziata in un ritiro dell’esercito su nuove linee strategiche, nel completamento della barriera difensiva, e nell’evacuazione di terre e insediamenti al di là di quella linea, di quelle aree palestinesi cioè che “anche nell’accordo di pace più favorevole ad Israele non sarebbero restate sotto la sua sovranità”, è stata la base teorica da cui è scaturito il ritiro da Gaza, e da cui deriva il nuovo ritiro dalla Cisgiordania annunciato da Olmert.
Un elemento essenziale di quella concezione è stato ed è la sua unilateralità. Prima era Arafat a non essere un partner presentabile, oggi è Hamas, che con il suo rifiuto di riconoscere Israele, rinunciare al terrorismo e riconoscere gli accordi precedentemente firmati dalla ANP, non può essere accettato come interlocutore. Abu Mazen, si afferma, è certo una brava persona, ma è un debole, incapace di reprimere il terrorismo, e oggi, dopo la vittoria di Hamas, è stato addirittura definito dal Ministro Tipzi Livni “irrilevante”.
Questa unilateralità rappresenta certo il limite più netto della nuova strategia ideata da Sharon, ma anche la sua forza. L’iniziativa israeliana non dipende più da defatiganti e per lo più inconcludenti negoziati con i palestinesi, ma solo dalla decisione e dalla determinazione di Israele.
Tale impostazione, che ha spezzato il mito del Grande Israele, ha determinato una crisi drammatica nel Likud, il partito storico della destra israeliana, che si trova ridotto ai minimi termini, con una emorragia irrefrenabile non solo verso Kadima ma anche verso gli altri partiti della destra, che in base ai sondaggi si rafforzano a sue spese. Ha consentito altresì di rompere l’antico tabù della inamovibilità degli insediamenti ebraici, dimostrando che una società democratica come Israele può fronteggiare la resistenza e anche i tentativi di rivolta dei coloni, che restano una piccola minoranza della popolazione.
Ha infine intercettato un sentimento profondo della popolazione, che pur continuando a credere, secondo tutti i sondaggi, nella necessità della pace, dimostra una sfiducia profonda nella possibilità di riuscita del cosiddetto processo di pace, come si è concretamente sviluppato con tutti i suoi bizantinismi e gli episodi di sangue da cui è costellato, e avanza una richiesta prioritaria di tranquillità.
È su queste basi che si è realizzata la convergenza con una parte del Labour, che non ha condiviso la svolta a sinistra impressa al partito dalla nuova leadership di Amir Peretz, e ha finito per confluire in Kadima, seguendo il vecchio Shimon Peres.
Il nuovo Labour di Peretz, tuttavia, con i suoi 20 deputati, ha retto brillantemente il tentativo di scissione, confermando la priorità e l’urgenza delle tematiche sociali poste al centro della sua campagna elettorale.
Il relativo indebolimento di KADIMA avrà per conseguenza un riequilibrio dei pesi all’interno del futuro governo a favore dei laburisti, e potrà anche avere come risultato una attenuazione dell’impronta unilateralistica dell’annunciato ritiro dalla Cisgiordania, riaprendo qualche spiraglio ai tentativi di rilancio negoziale.
Quella che si profila è infatti un’alleanza Kadima – Labour, che dovrebbe contare poco meno di 50 seggi. La parte restante potrebbe arrivare o dai partiti religiosi, ed in particolare dallo Shas, che con i suoi 12 seggi è diventato il terzo partito partito insieme al Likud, e dalla nuova formazione dei pensionati, che ha avuto un sorprendente risultato ottenendo circa 7 seggi.
Improbabile invece una alleanza, che oltretutto darebbe una maggioranza estremamente risicata, con la formazione di estrema sinistra Yahad – Meretz, ridimensionato con cinque seggi, e con i Partiti arabi, che al contrario con 9 seggi hanno riportato una brillante affermazione.
Olmert preferirà avere la copertura dei religiosi, per portare avanti il nuovo ritiro dalla Cisgiordania, evitando una loro saldatura con la destra. Tanto più che sui voti della sinistra, per appoggiare il ritiro, potrà sempre contare.
La piattaforma di Olmert, con la sua proposta di ritiro unilaterale dalla Cisgiordania, pare quindi confermata dalleì’elettorato, pur senza ricevere un plebiscito. Essa potrà contare, probabilmente, anche sulla proroga unilaterale della tregua annunciata da Hamas.
Ma l’obbiettivo di includere nei futuri confini di Israele non solo la fascia dei grandi insediamenti lungo la Linea Verde e intorno a Gerusalemme, quelli cioè dietro il muro difensivo, ma l’intera città di Gerusalemme e la Valle del Giordano, non appare in grado di assicurare una pace permanente ad Israele, in grado di raccogliere quella proposta di pace avanzata dalla Lega Araba a Beirut nel 2002, e che potrebbe forse trovare oggi orecchie attente anche in Hamas.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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