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L’Analisi

Effetto Erdogan

di Antonio Ferrari

Data pubblicazione: 5 novembre 2015

Sulle elezioni turche, ritenevo di aver commesso un errore grave: non aver saputo interpretare la realtà e non aver previsto la grande affermazione del partito Akp, condotto e ispirato dal presidente Recep Tayyip Erdogan.

Fortunatamente sono in abbondante compagnia, non solo con i colleghi italiani, ma con osservatori turchi, diplomatici, amici, che vivono in quel Paese e ne conoscono ogni pulsione.

L’idea, sostenuta da molti oppositori, che vi siano stati brogli non sta in piedi. Nel senso che i brogli non sono stati fatti nel giorno delle elezioni, e poi non è possibile manipolare il 9 per cento degli elettori: tanto è stato l’incremento dell’Akp dal voto del 7 giugno a quello di domenica scorsa. Se proprio la vogliamo dire tutta, gli eventuali brogli sono cominciati molto prima, con il bavaglio alla stampa libera, con gli arresti di reporter e fotografi, con l’occupazione dei giornali, delle tv, delle radio, con gli spazi d’immagine e di propaganda che Erdogan e i suoi hanno dominato, con le buone o con le cattive. Più con le cattive che con le buone. Segno che il potere, senza contrappesi, può fare ciò che vuole.

Certamente il presidente della repubblica ha saputo stavolta calamitare i voti dei nazionalisti, esaltati dalla lotta all’incubo del separatismo curdo, che il leader ha condotto con tutta la spregiudicatezza di cui è capace; probabilmente ha rotto lo stesso fronte curdo, attirando i più conservatori, nemici di qualsiasi intento autonomista. Tuttavia, in verità, Erdogan ha fatto di più. Invece di presentarsi come il padre di tutti i turchi, come sarebbe piaciuto al fondatore Musfafà Kemal Ataturk, è sceso in campo come uomo di parte. In sostanza, come sostengono molti, non soltanto a Istanbul ma anche ad Ankara, il presidente non è di fatto il presidente della repubblica, ma ne rappresenta soltanto il 49,5 per cento.

In pratica, la Turchia, si presenta spaccata tra chi ama Erdogan e chi lo odia. Ecco perché qualcuno azzarda scenari di possibile guerra civile. Non sarà così, perché la Turchia è troppo importante, e poi non è escluso che il sultano, rinfrancato dalla vittoria, modifichi almeno una parte dei suoi atteggiamenti di assoluta intransigenza.

 

Questa analisi di Antonio Ferrari, inviato speciale ed editorialista del Corriere della Sera, è stata scritta per la Newsletter del CIPMO “Effetto Erdogan”.

NOTE SULL'AUTORE 

Antonio Ferrari

Giornalista e scrittore, nato a Modena nel 1946. Ha cominciato come cronista al «Secolo XIX» di Genova, e dal 1973 è al «Corriere della Sera»: inviato speciale ed editorialista. Dopo aver seguito gli anni del terrorismo italiano, con le trame nere e rosse, è passato all'estero. Prima in Europa e nei Paesi dell'Est comunista, per approdare nei Balcani, nel Medio Oriente e in Nord Africa. Ha seguito quasi tutte le crisi di queste regioni, le guerre, i tentativi di pacificarle. Ha intervistato, nel corso degli anni, quasi tutti i leader di un'area estesa ed estremamente variegata. È membro del Comitato scientifico del CIPMO (Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente) e di Gariwo (La foresta dei Giusti).

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