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L’Analisi

Medio Oriente: non ci sono vittime innocenti

di Gabriele Nissim

Data pubblicazione: 21 novembre 2012

Simona Forti, nel suo bel libro I nuovi demoni (Feltrinelli), ripercorrendo il male del nostro tempo con un’originale lettura di Friedrich Nietsche, Primo Levi, Michel Foucault, Vaclav Havel, sostiene una tesi quasi estrema: non esistono i demoni assoluti così come le vittime del tutto innocenti. Il potere totalitario coinvolge la società intera. Il male è sempre una relazione. Le vittime sono chiamate non solo a difendersi e non farsi corrompere, ma per non essere più tali devono anche diventare costruttori di Bene.

Si pensi alle parole terribili di Primo Levi, quando indagando la zona grigia nei campi, osservava come persino i prigionieri di Auschwitz scaricavano sui nuovi venuti tutte le loro frustrazioni e, come capitava con i Kapo, erano disponibili a farsi carico per conto dei nazisti dell’ordine del campo, per poter sopravvivere un giorno in più. O si ricordi quanto scriveva Havel nella Cecoslovacchia degli anni 80, quando osservava che il potere della menzogna totalitaria coinvolgeva tutti, persino il fruttivendolo che per vivere tranquillo esponeva nel suo negozio un cartello di adesione al sistema.

Era dunque anche il semplice cittadino, apparentemente vittima del comunismo, un tassello dell’oppressione che attanagliava tutti.

Quanto accade oggi in Medioriente ci riporta all’attualità di questa analisi sul bene e sul male, sia pure in un contesto differente dai totalitarismi del ‘900.

Si possono definire i palestinesi delle vittime innocenti e Hamas, che governa Gaza, un potere accerchiato e umiliato dall’occupazione israeliana?

Niente di più falso. Gaza era una grande occasione dopo il ritiro deciso dal generale Sharon. Poteva essere il ponte per una resistenza non violenta e per la costruzione di una porzione di territorio sovrano che dimostrasse la possibilità di una convivenza pacifica tra due popoli indipendenti.

Invece Gaza si è trasformata in un luogo il cui unico scopo è diventato la guerra aperta ad Israele. Quelli che come Hamas si definiscono i migliori difensori delle vittime insegnano ai bambini che il loro futuro dipende dalla distruzione del “cancro” israeliano, e che la Shoah è stata un’invenzione dei sionisti. Lanciano i missili non per difendersi, ma con lo scopo di creare il maggior numero di vittime israeliane. Soltanto l’imprecisione dei lanci e il muro antimissile di Tel Aviv impediscono che si contino a centinaia i morti sul territorio israeliano. Quando si lanciano centinaia di razzi da un territorio così densamente popolato si è perfettamente consapevoli che le rappresaglie possono colpire i civili inermi. Ma questa non è la preoccupazione dei dirigenti di Hamas che, per il loro sogno politico, sono disponibili a sacrificare la popolazione, per poi sostenere con grande retorica che le rappresaglie israeliane mirano a distruggere il popolo palestinese. Può essere considerata morale una resistenza che porti allo sbaraglio la propria gente?

Oggi a Gaza si può osservare che un gruppo politico è riuscito nell’intento di trasformare una popolazione disperata in un potenziale carnefice del proprio nemico. Ha trasformato in questi anni una rivendicazione di liberazione in un odio fanatico che porta i palestinesi a sopportare un costo di vite umane che non dipende soltanto dalle rappresaglie israeliane, ma in misura sempre più rilevante dall’ideologia politica che guida il movimento di Hamas. Paradossalmente i palestinesi di Gaza sono diventati più vittime di loro stessi che dei loro nemici.

E oggi gli israeliani che rispondono con i bombardamenti e le uccisioni mirate possono considerarsi del tutto innocenti, quando giustamente rivendicano il diritto all’autodifesa?

C’è qui da fare una distinzione tra un aspetto di tipo politico-militare ed uno di carattere etico.

Sul piano politico, di fronte a un’aggressione e alla difesa della sicurezza dei propri cittadini è inevitabile una risposta che mira alla neutralizzazione della forza militare nemica. Si tratta, ovviamente, ogni volta di valutare l’equilibrio tra la difesa della propria sicurezza e il costo di vittime che si possono creare nell’altro campo. È una situazione complicatissima, perché non è facile evitare, anche con la migliore tecnologia, che una rappresaglia provochi vittime civili. Un ingresso delle truppe israeliane a Gaza porterebbe inevitabilmente a una strage di civili.

Sul piano etico c’è invece una grave mancanza. In tutti questi anni il rifiuto palestinese di una trattativa senza preconcetti – come l’abbandono dell’idea del ritorno dei profughi in Israele o il riconoscimento del carattere ebraico dello Stato israeliano – è diventato un alibi per non guardare alla sofferenza dei palestinesi e non offrire uno sbocco politico credibile all’idea della divisione della terra in due stati sovrani.

Si può essere legittimati a difendersi con tutti i mezzi dal proprio nemico quando si dimostra in tutti i modi di avere sempre la porta aperta per trovare una soluzione che rispetti i diritti dell’altro. Il governo di Netanyahu non ci ha forse nemmeno provato, nonostante in Israele esista da sempre un movimento di opinione pubblica che cerca la pace. Qui sta la debolezza di Israele in questi giorni, nonostante la sua indiscutibile superiorità militare.

Può darsi che per la difesa della sicurezza in un mondo arabo oggi in mano all’Islam politico sia una sfida impossibile, ma i miracoli possono sempre accadere, quando non prevale l’indifferenza e non ci si abitua troppo a giustificare come ineluttabile una situazione anomala. Israele può essere forte solo se la forza militare coincide con la forza morale, come chiedono da sempre gli scrittori Amos Oz, David Grossman e il pacifista storico Uri Avneri.

NOTE SULL'AUTORE 

Gabriele Nissim

Giornalista e saggista, ha fondato nel 1982 «l'Ottavo Giorno», rivista italiana sul tema del dissenso nei paesi dell’Est europeo. Ha collaborato con «il Giornale», il «Corriere della Sera», «Il Mondo». Per Canale 5 e la televisione della Svizzera italiana ha realizzato documentari sull’opposizione clandestina ai regimi comunisti, sui problemi del postcomunismo e sulla condizione ebraica nei paesi dell’Est. È presidente di Gariwo, la foresta dei giusti, che ricerca e promuove le figure di resistenza morale a tutti i genocidi e totalitarismi, ed è il promotore della Giornata europea dei giusti istituita il 10 maggio 2012 dal Parlamento europeo.

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