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L’Analisi

La memoria dei giusti e la nostra identità europea

di Gabriele Nissim

Data pubblicazione: 24 luglio 2012

Il 10 maggio il Parlamento di Strasburgo ha approvato una dichiarazione scritta che istituisce il 6 marzo come Giornata europea in memoria dei Giusti. Il concetto di Giusto, nato dall’elaborazione del memoriale di Yad Vashem, per ricordare i non ebrei che sono andati in soccorso degli ebrei, diventa così patrimonio di tutta l’umanità. Il termine “giusto” non è più circoscritto alla Shoah ma diventa un punto di riferimento per ricordare quanti in tutti i genocidi e totalitarismi si sono prodigati per difendere la dignità umana. Il significato di questa decisione richiama uno degli elementi fondanti della cultura europea: il valore dell’individuo e della responsabilità personale. Quanto affermato nella Bibbia, “chi salva una vita salva il mondo intero”, alla base della legge sui Giusti del Parlamento israeliano del 1953, trova molte somiglianze nella filosofia stoica antica. Epitteto, ripreso poi da Kant, richiamava gli uomini ad accettare serenamente situazioni non dipendenti dalla volontà, come la malattia o la morte, ma a essere intransigenti nella difesa del loro carattere morale. Era questa la grande libertà del singolo, che se non poteva modificare il mondo, né cambiare il passato, né prevedere il futuro, poteva sempre e comunque difendere la propria dignità e il prossimo vicino a lui nel suo spazio sovrano e nel tempo presente. E anche il principio enunciato da Yad Vashem che è un “giusto” un uomo che per aiutare un perseguitato si assume un rischio, persino quello della propria vita, ci rimanda all’esempio di Socrate disposto a morire per la difesa del bene e della virtù morale, piuttosto che cedere alla sua coscienza. Lo aveva bene evidenziato Sallustius Sereno, un neoplatonico del IV secolo, il quale osservava che il bene trascende l’essere e per questo motivo “le anime di valore disprezzano l’essere a causa del bene, quando affrontano spontaneamente il pericolo per la propria patria, per le persone che si amano, o per la propria virtù.” E perché un uomo si comporta da “giusto” non solo in una vita normale, ma nei momenti difficili, nelle dittature e nei totalitarismi, quando si perseguitano gli ebrei o altri esseri umani? Non per un piacere effimero, ma per la ricerca di una felicita profonda, come scriveva Plutarco, citando Diogene il Cinico: “Un uomo dabbene non celebra forse una festa ogni giorno? È una festa splendida se siamo virtuosi.” Naturalmente, poi, chi difende la virtù può andare incontro a situazioni difficili, come capitò a Jan Patocka, il grande filosofo di Charta 77, durante gli anni della dittatura comunista a Praga. Patocka, scrisse in uno storico appello alla nazione che era una festa per i cittadini ritrovare il gusto di difendere la verità di fronte ad un potere ottuso e che pagò poi con la vita la sua attività di resistente morale, soccombendo a un attacco cardiaco dopo un pesante interrogatorio da parte della polizia. Tanti soccorritori degli ebrei hanno agito con lo stesso spirito. Il loro motto era simile a quello di Patocka: “Le stesse cose per cui vale la pena di vivere, sono quelle per cui vale la pena di soffrire.” Si può dunque intuire come, dopo questa dichiarazione del Parlamento, la riflessione ebraica sui giusti si possa collegare in modo straordinario ai valori più alti della cultura europea. Sarebbe veramente un peccato se questa possibilità di dialogo non venisse raccolta da Yad Vashem, qualora prevalesse l’idea di un concetto limitato alla sola memoria della Shoah. Ma non è questa la sola posta in gioco. Il suo valore è prima di tutto politico nella crisi morale che vive l’Europa. Oggi improvvisamente di fronte ai problemi economici della comunità sono molti che hanno la tentazione di chiudersi nei nazionalismi e smarriscono il senso di definirsi europei. Ricordare i “giusti” che hanno lottato contro le leggi razziali, hanno costruito le basi della caduta del muro di Berlino, si sono impegnati per la prevenzione dei genocidi o hanno difeso la verità e la memoria nei sistemi totalitari, significa tramandare degli esempi morali che sono il pilastro della nostra identità. Il gusto della democrazia e del pluralismo, il gusto dell’altro come parte di noi, il piacere di difendere il vero, senza per questo cadere nella supponenza, il riconoscimento del perdono come valore nelle relazioni umane, non sono enunciazioni astratte che animano il dibattito dei filosofi, ma sono stati modi di essere di quanti hanno creduto nella costruzione europea. Come sottolineò Socrate nei Memorabili di Senofonte l’etica non si trasmette con le parole, ma con gli esempi concreti. “In mancanza delle parole, faccio vedere cosa sia la giustizia con le mie azioni.” Ecco allora il senso della memoria del bene, incarnata dalle storie dei Giusti. Riportarle alla luce e farne oggetto di narrazione significa farle rivivere nel tempo presente e trasmettere cosi ai giovani l’idea di una staffetta morale di cui loro possono diventare protagonisti. In momenti di crisi vale di più la forza dell’esempio morale che la filippica moralistica dell’inquisitore di turno che bacchetta la folla e propone la “ghigliottina” per i corrotti. I giusti non offrono soluzioni e neanche trasmettono testamenti, ma poiché sono stati capaci, come Antigone, di sfidare le leggi degli uomini per difendere la giustizia, insegnano alle nuove generazioni che la salvezza e la terapia contro il male nascono dall’abitudine e dalla capacità di pensare da soli. Come rendere effettiva la Giornata europea dei Giusti dopo l’approvazione del parlamento di Strasburgo? Non ci sono regole, né si può pensare a una imposizione dall’alto, né ad un’istituzione europea che definisca i giusti da commemorare, come ha fatto per mezzo secolo la commissione di Yad Vashem. Dobbiamo immaginare una pluralità di esperienze. È compito, invece, di ogni Paese impegnarsi per ricordare di volta in volta le proprie figure morali, piccole o grandi che siano. Importante però, e questo è il segno europeo, che ogni Paese non guardi solo alla propria storia, ma ricordi figure di altri Paesi, di diverse esperienze. Il Giusto è un cittadino del mondo e non ha una sola patria. Ecco perché sarebbe bello che nel giardino di Yad Vashem si ricordasse anche chi ha salvato delle vite in altri genocidi, che a Parigi, Londra, o a Praga sorgessero dei giardini per ricordare esempi morali non solo della resistenza al fascismo, ma anche di chi si è impegnato per difendere gli armeni o ha sofferto per la libertà nel comunismo. I giusti uniscono l’umanità e ci fanno sentire partecipi dello stesso destino. Ci insegnano il piacere della virtù.

NOTE SULL'AUTORE 

Gabriele Nissim

Giornalista e saggista, ha fondato nel 1982 «l'Ottavo Giorno», rivista italiana sul tema del dissenso nei paesi dell’Est europeo. Ha collaborato con «il Giornale», il «Corriere della Sera», «Il Mondo». Per Canale 5 e la televisione della Svizzera italiana ha realizzato documentari sull’opposizione clandestina ai regimi comunisti, sui problemi del postcomunismo e sulla condizione ebraica nei paesi dell’Est. È presidente di Gariwo, la foresta dei giusti, che ricerca e promuove le figure di resistenza morale a tutti i genocidi e totalitarismi, ed è il promotore della Giornata europea dei giusti istituita il 10 maggio 2012 dal Parlamento europeo.

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