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L’Analisi

La campagna elettorale in Afghanistan

di Andrea Vento

Data pubblicazione: 2 luglio 2009

È opinione comune che occorra passare almeno qualche mese a Kabul e in Afghanistan, prima di comprendere quali siano le insite complessità della scena politica locale. Non che diplomatici, personale delle Organizzazioni Internazionali, militari e cooperanti siano esenti da comportamenti routinier e quindi, in ultima analisi, estranianti rispetto alla reale scena politica. La riflessione in questo caso riguarda quanto i media, di tutti i Paesi occidentali, offrano in maniera distratta possibili scenari ad un lettore altrettanto distratto: purtroppo, spesso l’immagine che ci viene resa dalla stampa e dalle televisioni soffre di un fascino “sofisticato” ed ispirato dal “turismo di guerra”. Per ragioni di costi, anche in Italia si è andata perdendo la grande tradizione del war journalism (gli ultimi grandi connaisseur sono Ettore Mo e Fausto Biloslavo), e gli inviati  sbarcano ora a Kabul per pochi giorni, una decina al massimo, avendo letto qualche articolo di repertorio e chiedendo di incontrare le solite note fonti fiduciarie, che parlano in uno stentato inglese, o qualche rappresentante diplomatico in vena di confessioni. In altri casi si recano a vedere il venerdì mattino una buona partita di buzkashi organizzata da Mohammad marshal Fahim, warlord tagico dei quartieri a nord della città ed ex ministro dell’Interno, o un combattimento di cani, gli splendidi molossoidi afghani. Ed ancora, qualche foto delle solite rovine a Kabul dalle parti di Darulaman, il palazzo reale. Colore vogliono alla redazione, e la redazione riceve colore. Il tutto infarcito di una sensazione di insicurezza e di rischio, l’unica che giustifichi ampio spazio destinato alla corrispondenza. Nei mesi scorsi si è giunto ad argomentare una possibile caduta della capitale ed il fatto che la medesima fosse accerchiata da ingenti truppe talebane. La verità, come vedremo, è alquanto diversa, seppure in un clima di effettiva instabilità più politica che militare.

 

Che gli afghani in politica siano attori estremamente litigiosi lo insegna la storia, almeno da quando è iniziato il “Grande Gioco” a metà dell’Ottocento e con le successive evoluzioni sotto i monarchi Habibullah, Amanullah, Nadir e Zahir, il “cugino” Presidente Mohammad Daoud Khan e durante il quindicennio di dominio comunista, fino all’ultimo presidente Najibullah Ahmedzai. Questo fatto porta ad una prima considerazione: per la maggioranza pashtun nelle sperdute valli del Paese chi governa, ancora oggi, è il “re”, poco importa se si chiami Hamid Karzai. Nonostante le divergenze dei clan pashtun di appartenenza, Karzai ha infatti saputo utilizzare a proprio vantaggio l’icona del vecchio re, rientrato da Roma nel 2002 all’indomani della liberazione, nominandolo Padre della Patria ed ospitandolo, assieme alla sua piccola corte familiare nel palazzo presidenziale, fino alla morte avvenuta il 23 luglio 2007. E ai vecchi pashtun non manca la memoria storica a giudicar dal fatto che in questa campagna elettorale il presidente uscente Karzai abbia voluto incarnare tutti i suoi grandi predecessori. Qualche mese fa ha disseppellito da una fossa comune i resti di Daoud e dei famigliari trucidati nel corso del colpo di stato comunista del 28 aprile 1978. Ecco che tanti negozietti del centro di Kabul hanno sfoggiato dei poster con il Presidente Daoud dai tipici occhialoni da sole anni Settanta.

 

Ancor più curioso il fatto che non manchino in altri negozi bei calendari multicolore che raffigurano il dottor Najib, in varie pose rassicuranti, tipiche del socialismo reale che riportano ad un Ceausescu vecchia maniera. Ritorno del comunismo? Macché. Il sinistro “dottore”, che si era fatto le ossa nella polizia segreta KHAD e brutalmente assassinato dai talebani nel 1996, non rappresenta paradossalmente un’icona comunista, ma ravviva al ceto medio kabulino un lontano ricordo di stabilità e di vago benessere. Questo è veramente il Paese dei paradossi, se come è stato rilevato da tanti, la spina dorsale dell’ANA e dell’ANP, rispettivamente l’esercito e la polizia del Paese, hanno molti ex della Repubblica Democratica Popolare Afghana tra i propri quadri ed ufficiali (si dice fino al 70%). Tornando alle elezioni del prossimo 20 agosto, si può affermare che Karzai è riuscito a consolidare l’appoggio di un folto gruppo di warlordspowerbrokers e governatori, spiazzando ogni tipo di opposizione organizzata. Per quanto riguarda la questione etnica, ha confermato come secondo vicepresidente, carica che spetta agli hazara, Karim Khalili, mentre, per quanto concerne la componente tagica, ha deciso di sostituire il primo vicepresidente Ahmad Zia Massud (l’invero decotto fratello del Leone del Panshir) con il menzionato marshal Fahim. Il più credibile dei 44 candidati, approvati dalla commissione elettorale indipendente, è forse Ramazan Bashardost, anche se con poche chances essendo hazara, assieme all’ex ministro degli Esteri (di sangue pashtun e di educazione tagica) Abdullah Abdullah. Seguono l’ex ministro della Giustizia Abdul Jabbar Sabit, il giovane leader universitario Sarwar Ahmedzai. Qualche nostalgico del comunismo potrà dare il voto a Shahnawaz Tanai, ex ministro della Difesa di Najib, mentre gli uzbeki si conteranno attorno al candidato di bandiera Akbar Bai.

 

Ma vediamo quali sono i leitmotiv di questa campagna elettorale. Innanzitutto Karzai, nonostante i gravi attentati alla sua credibilità dello scorso autunno, in particolare relativi al coinvolgimento del fratello Ahmed Wali, governatore di Kandahar, nella produzione e traffico di oppio ed eroina, ha saputo giocare negli ultimi due mesi una nuova partita sul tema della “sovranità” afghana rispetto alla presenza delle Forze internazionali di sicurezza (statunitensi e ISAF), ed ancora di più in merito alla recente proliferazione di contractors armati. Abile è stata la mossa di assimilare agli Illegaly Armed Groups(IAGs) quei gruppi armati, tra le agenzie di sicurezza private, gruppi di autodifesa a protezione di villaggi, tratti di strada, opere infrastrutturali, non ancora in possesso di autorizzazione. Questi contractors hanno per lo più la funzione di supportare lo sforzo logistico delle Forze di sicurezza internazionali. Mentre va detto che gli IAG sono una categoria vastissima che comprende i buoni e i cattivi, dalle milizie dei warlord, a narcotrafficanti, a gruppi di insorgenti, che un giorno, nel mondo dei sogni, dovrebbero essere disarmati grazie al processo DIAG. Interessante notare che due dei principali LIAGs (acronimo che sta per leader degli IAGs) dell’intero Afghanistan sono i candidati vicepresidenti di Karzai.

 

Qualcosa di strano però nelle ultime settimane è successo proprio a Kandahar: alcune guardie private afghane hanno attaccato dei poliziotti ed ucciso il capo provinciale dell’ANP, assieme ad altri colleghi. Non è chiaro se la milizia privata fosse un fornitore delle Forze di sicurezza internazionali, o un reparto speciale dell’ANA, addestrato dalla coalizione. Fatto è che Karzai ha subito impostato un braccio di ferro con le forze americane, poiché le 41 guardie armate private coinvolte nello scontro a fuoco avevano cercato di rifugiarsi nella più vicina base internazionale. Il Presidente ha chiesto che “le forze della coalizione devono prevenire e non causare tali incidenti, il cui ripetersi contribuisce all’indebolimento del Governo”. Karzai si è così fatto consegnare i 41 responsabili del conflitto a fuoco. Non si ha evidenza dell’effetto di questa mossa elettorale, che comunque deve essere piaciuta assai ai gruppi tribali pashtun del sud, di Kandahar e Hellmand, persino quelli che storicamente fiancheggiano l’insorgenza e i talebani.

 

Il dibattito elettorale afghano che “conta” si concentra su questioni come i contributi per i terreni occupati dalle basi internazionali (land claim issues) o l’entità dei sussidi per gli agricoltori che dovrebbero darsi a produzioni alternative rispetto all’oppio, o ancora quelle riguardanti la fallimentare politica di “sradicamento”. Questioni distanti rispetto a quelle che monopolizzano il dibattito delle Forze di sicurezza internazionale in vista del surge militare che porterà questa estate ad una presenza di 68.000 uomini statunitensi, tre divisioni di eccellente qualità, che verranno per lo più dislocate appunto nella zona di Kandahar. Più del doppio rispetto ai 32.000 del 2008. È qui si può giungere serenamente ad una constatazione ulteriore che rappresenta il vero paradosso della comunicazione: con l’eccezione delle assai “cinetiche” provincie di Kandahar e Hellmand, e di ricorrenti infiltrazioni in quella di Farah, la guerra nel resto del Paese, anche nell’Est a prevalenza pashtun, non starebbe andando affatto male. Ed è per questo che il Presidente Obama l’altro ieri ha scatenato Khanjar – che in pashtun significa “il colpo di spada” – la più grande operazione aviotrasportata dai tempi del Vietnam: quattromila marines e mille soldati afgani sono stati inviati nella valle di Hellmand per sradicare ogni presenza talebana. Una grande battaglia che nelle intenzioni statunitensi deve anche servire da monito elettorale.

 

Un moderato ottimismo, ispirato da sano realismo, è sembrato filtrare anche dalla dichiarazione degli Afghan Talks di Trieste, redatta lo scorso 26 giugno, che riprende la formula delle elezioni “credibili, inclusive e sicure”. Sono poi stati salutati tutti i candidati e invitati a seguire la campagna nello spirito della legge elettorale. Un auspicio poi al fatto che i corpi e le istituzioni dello stato si astengano da azioni di interferenza o intimidatorie. Infine, è stato sottolineato quanto sia importante un’ingente partecipazione della popolazione al voto. Poca attenzione, se non nei colloqui, è stata dedicata alla gestione della sicurezza durante le fasi di voto, data la conclamata debolezza dell’ANP, a differenza di una buona capacità dell’ANA. Ma a questo dovrebbe supplire in parte il surge, piuttosto che nuovi programmi di addestramento della polizia. In conclusione, la strada sembrerebbe spianata per Karzai.

NOTE SULL'AUTORE 

Andrea Vento 

Giornalista professionista, autore di numerosi saggi, ufficiale della riserva dell’Esercito con una specializzazione nei temi di sicurezza internazionale. È stato inoltre membro di numerosi consigli d’amministrazione tra cui Fondazione Stelline, Fondazione Fiera Milano, Fondazione Italia Russia.

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