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L’Analisi

“Giusto” tra gli arabi

di Gabriele Nissim

Data pubblicazione: 28 aprile 2009

L’ iniziativa del 5 maggio nel giardino dei giusti di Milano,  nel corso della quale saranno piantati sei alberi in onore dei 440 italiani che salvarono gli ebrei durante al seconda guerra mondiale, di Hrant Dink il giornalista armeno assassinato a Istanbul, di Anna Politkovskaja, la giornalista russa, assassinata per il suo impegno contro i crimini in Cecenia,di Dusko Kondor, che pagò con la vita la sua battaglia per la giustizia in Bosnia dopo la pulizia etnica, di Abdul Wahab, l’arabo che durante l’occupazione nazista della Tunisia salvò numerose famiglie ebraiche , del console italiano  Pier Antonio Costa che salvò in Rwuanda quasi duemila tutsi, è il risultato di una battaglia culturale durata molti anni.

Vale per questo la pena di riprendere alcune riflessioni che ci hanno guidato in questo lavoro e che speriamo possano essere condivise.
Prima di tutto la memoria dei giusti, proposta per la prima volta da Yad Vashem, ha fatto un salto qualitativo perché non è  più un tema che riguarda soltanto gli ebrei salvati,ma è diventata nel corso degli ultimi anni un patrimonio internazionale. Non è dunque soltanto Israele che ne mantiene il ricordo, ma sono sempre più numerosi i paesi che sentono la necessità di considerare i giusti come parte della loro storia migliore.

E’ stata questa la grande intuizione di Moshe Bejski, l’artefice del giardino di Gerusalemme, che auspicava che i giusti non riguardassero soltanto gli ebrei, ma si dovessero considerare come “l’elite dell’umanità intera” nei tempi bui della storia. Ecco perché si era battuto affinché accanto agli alberi del giardino di Gerusalemme fosse pubblicata un’enciclopedia che ricordasse i nomi dei giusti catalogati per ogni singolo paese. Questo lavoro è stato fatto egregiamente da Liliana Picciotto con il suo volume sui salvatori italiani, ma questa dislocazione della memoria chiama a nuove responsabilità. Ogni paese ha il dovere di ricordare le proprie figure morali con un’autonomia di giudizio ed una sensibilità che possono anche non coincidere con i tempi della riflessione che avviene nella commissione dei giusti di Yad Vashem. Per citare un caso su tutti in Italia ed in Grecia, a seguito dell’opera teatrale di Antonio Ferrari, si è dato grande valore alla figura del console Guelfo Zamboni, che durante l’occupazione nazista della Grecia ha salvato decine di ebrei condannati alla deportazione a Salonicco, mentre invece a Gerusalemme l’opera del console italiano non è stata riconosciuta ed è passata in secondo piano.
In secondo luogo, la memoria dei giusti si è estesa dalla Shoah ad altri genocidi e crimini contro l’umanità ed il concetto della responsabilità personale nei confronti del Male estremo ha acquisito sempre più un valore universale.

La definizione ha però assunto, come era prevedibile, una pluralità di significati nell’ambito di ogni contesto. In Rwuanda c’è una grande somiglianza con il termine impiegato per la Shoah: il giusto è in primo luogo chi ha salvato delle vite umane, come ha fatto il nostro console a Kigali Pier Antonio Costa che meriterebbe per il suo grande coraggio di essere ricordato al pari di Giorgio Perlasca.

Per gli armeni, secondo l’originale interpretazione di Piero Kuciukian, il giusto non è soltanto chi ha salvato ed ha aiutato, ma chi come Hrant Dink ha pagato con la vita il suo impegno contro l’assassinio della memoria e il negazionismo turco.

Per chi invece è impegnato nella salvaguardia della memoria storica del totalitarismo in Europa il giusto è soprattutto il resistente morale che ha difeso la verità contro la menzogna e non ha svenduto la sua dignità e quella degli altri uomini, cedendo all’infernale meccanismo della delazione. Anna Politkovskaja che ha pagato con la vita il suo impegno di giornalista “non educabile” la si deve collocare oggi nella migliore tradizione degli intellettuali russi come Vassilij Grossman e Anna Achmatova che non si sono piegati sul piano del pensiero e delle parole alle intimidazioni del potere. In Bosnia invece il concetto di giusto richiama il concetto del coraggio civile, come ha sottolineato Svetlana Broz, l’artefice di Gariwo Sarajevo che si batte da anni per la conciliazione tra le nazioni della ex Jugoslavia lacerate dalla violenza politica.

Un esempio di questo coraggio è la vicenda del professore di filosofia Dusko Kondor che ha pagato il prezzo più alto per avere testimoniato a Bijelina in un processo contro i carnefici serbi che avevano brutalmente assassinato 26 musulmani sotto casa sua.
Accanto a queste figure a Milano si dedica un albero a Abdul Wahaab, un arabo che durante l’occupazione nazista della Tunisia nascose a casa sua numerose famiglie ed evitò una sorte terribile nei bordelli tedeschi ad alcune donne ebree.
La protagonista di questa piantumazione sarà proprio sua figlia Faiza.

Il suo è un atto di grande significato morale, perché   nel mondo arabo mussulmano si preferisce non divulgare di atti di umanità compiuti nei confronti degli ebrei.
Per alcuni infatti non è onorevole raccontare episodi di questo tipo nel clima lacerato del conflitto mediorientale. È un fenomeno che ricorda il clima delle campagne antisioniste nel 68 nella Polonia di Gomulka.  Allora quando il nuovo nemico del comunismo era il sionismo era disdicevole ammettere in pubblico un atto di solidarietà nei confronti di un ebreo.
Faiza rompe questo tabù con la sua decisione di esporsi pubblicamente. Sta infatti lavorando questi giorni ad un documentario in Tunisia sul gesto del padre con l’obbiettivo di farlo conoscere a livello internazionale.

Ma anche Yad Vashem si è mostrata finora molto restia nella ricerca di atti di solidarietà degli arabi in Tunisia, Marocco ed Algeria, paesi toccati dalle leggi razziali imposte dalla Francia di Vichy e dove migliaia di ebrei furono rinchiusi in campi di lavoro forzato.
Come ha ricordato polemicamente due settimane fa sul quotidiano Haaretz Mordecai Paldiel, l’ex direttore del dipartimento dei giusti di Yad Vashem, è ancora in forse l’assegnazione del titolo di giusto per Khaled Abdul Wahab.

Il motivo: Wahab non avrebbe rischiato la vita. Lo scrittore e ricercatore americano Robert Satloff contesta questa interpretazione e ha ricordato i pericoli che Khaled ha dovuto affrontare nel suo volume “Tra i giusti. Storie Perdute dell’Olocausto nei paesi arabi”.
Ma non è soltanto questo il problema. Sono decine i casi di giusti riconosciuti come giusti a Gerusalemme, senza avere rischiato la vita. Si veda il caso di Dimiter Peshev in Bulgaria che bloccò la deportazione nel 1943, ma conservò il suo posto nel parlamento o del doganiere Paul Gruninger che in Svizzera favorì l’immigrazione clandestina degli ebrei, perdendo sì il posto di lavoro, ma non mettendo mai a rischio la sua incolumità.

E allora cosa blocca il riconoscimento di Wahab?  Fino ad ora sono stati nominati come giusti decine di mussulmani che hanno aiutato gli ebrei in Europa, ma mai nessun arabo delle colonie francesi in Africa. Era l’occasione per rompere questo ritardo, ha sottolineato Mordecai Paldiel, ma una visione dogmatica lo ha impedito.

A Milano si è agito diversamente, anche per contribuite nel nostro piccolo ad un processo di conciliazione nel difficile clima mediorientale.
Sarebbe dunque un grande segno di speranza se le comunità ebraiche ed arabe di Milano ricordassero assieme il 5 maggio la storia di Khaled Abdul Wahab, assieme a sua figlia Faiza.
Onore ad un giusto arabo.

NOTE SULL'AUTORE 

Gabriele Nissim

Giornalista e saggista, ha fondato nel 1982 «l'Ottavo Giorno», rivista italiana sul tema del dissenso nei paesi dell’Est europeo. Ha collaborato con «il Giornale», il «Corriere della Sera», «Il Mondo». Per Canale 5 e la televisione della Svizzera italiana ha realizzato documentari sull’opposizione clandestina ai regimi comunisti, sui problemi del postcomunismo e sulla condizione ebraica nei paesi dell’Est. È presidente di Gariwo, la foresta dei giusti, che ricerca e promuove le figure di resistenza morale a tutti i genocidi e totalitarismi, ed è il promotore della Giornata europea dei giusti istituita il 10 maggio 2012 dal Parlamento europeo.

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