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L’Analisi

Sparare o dialogare?

di Yossi Alpher

Data pubblicazione:  5 marzo 2008

Non è una coincidenza che le tensioni tra Israele con Hezbollah e con Hamas si siano intensificate. Israele deve affrontare questi movimenti islamici militanti su due dei suoi confini. Le loro attività sono strettamente connesse all’aggressiva campagna condotta dall’Iran per espandere le sue influenze territoriali e al ruolo di supporto giocato dalla Siria.

Tre importanti differenze fra Hezbollah e Hamas possono aiutarci a capire i rapporti che Israele ha con loro. La prima consiste nel fatto che Hezbollah è composto da musulmani sciiti mentre Hamas da sunniti. Questo comporta delle importanti differenze nelle relazioni che essi hanno con il resto del mondo arabo- musulmano: il gruppo di Hezbollah, essendo sciita, è molto più vicino all’Iran; mentre Hamas è probabilmente più influenzato dalla sfera araba sunnita, guidata dall’Arabia Saudita e dall’Egitto.

La seconda differenza è che la lotta degli Hezbollah è più pronta ad oltrepassare i confini di Israele, mentre Hamas non ha mai mostrato di volerlo fare. Attacchi da parte di Hezbollah in qualsiasi parte del mondo sono molto più probabili, specialmente dopo l’assassinio di Imad Mughniyeh avvenuto a Damasco, e dopo le minacce dirette che Hassan Nashrallah ha lanciato ad Israele in seguito al tragico fatto.

L’ultima differenza è che Hezbollah rifiuta di negoziare questioni politiche con Israele ma accetta soltanto di intraprendere negoziati per lo scambio di prigionieri attraverso la mediazione di terzi e niente di più. Hezbollah fa parte del Libano, con il quale Israele ha all’occasione avuto rapporti diretti. Il movimento inoltre non ha più basi al confine con Israele.

Leader importanti all’interno di Hamas invece, di tanto in tanto, hanno annunciato la loro disponibilità a negoziare un cessate il fuoco con Israele (sia a breve termine che a lungo termine). Inoltre hanno più volte intrapreso trattative per lo scambio di prigionieri attraverso paesi terzi come l’Egitto, che contemporaneamente si occupa anche di quelle con Hezbollah. Hamas inoltre, al contrario di Hezbollah, ha sotto il suo controllo un territorio definito, la Striscia di Gaza, che confina con Israele.

Queste differenze evidenziano la possibilità di un dialogo politico tra Israele e Hamas. Il resto delle circostanze tuttavia, non portano a questa soluzione, per il semplice fatto che i negoziati per un accordo di pace definitivo tra Israele e Ramallah sono influenzate dalle trattative parallele per un cessate il fuoco con Hamas. Quest’ultimo vorrebbe offrire al popolo palestinese un modello alternativo di coesistenza con Israele.
C’è ancora un’altra questione: Hamas non parla con una voce sola. Non esiste un chiaro ed autorevole interlocutore né a Gaza né a Damasco, una persona che possa dialogare con Israele o con i mediatori arabi al Cairo o a Riyadh.

Infine, la proposta di Hamas per un cessate il fuoco, nella misura in cui ci viene presentata, risulta problematica. Hamas apparentemente, unisce ad un cessate il fuoco a lungo termine, richieste in materia di frontiere, rifugiati, Gerusalemme ecc., le stesse che l’OLP chiede in cambio di un accordo di pace vero e definitivo. Nel frattempo, un cessate il fuoco di qualsiasi durata, lascia il movimento islamico palestinese libero di continuare il suo concentramento di forze armate a Gaza e di mantenere la richiesta ideologica che Israele cessi di esistere. Questo non fa altro che rimandare un confronto armato fino al momento in cui Hamas e i suoi alleati non si sentiranno più preparati.

Oggi ci troviamo ad affrontare ancora una volta una situazione non definita a Gaza, a causa della recente violazione della frontiera con l’Egitto e la richiesta da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese di assumere il controllo su tutti i passaggi di frontiera in coordinazione con Israele, Egitto, Hamas, e l’Unione Europea. Questo ha dato un nuovo stimolo per tentare un dialogo con Hamas con lo scopo di trovare un nuovo modus vivendi. Allo stesso tempo, la nuova situazione è un prodotto della crescente escalation militare fra Hamas e Israele e dell’affidamento che quest’ultimo fa sulle sanzioni economiche e le uccisioni mirate di importanti terroristi a Gaza.

Questi espedienti, senza successo nello scoraggiare attacchi missilistici nel Sud d’Israele, si collocano tra l’opzione di dialogare con Hamas e quella di rioccupare ampie zone nella Striscia di Gaza. Questa forse è la ragione per la quale gli israeliani stanno perdendo la pazienza dopo sette anni di attacchi missilistici da parte di Hamas: ne è testimone il nuovo attivismo politico dei residenti di Sderot che dimostrano contro il governo a Tel Aviv e a Gerusalemme.

Tutto ci riporta al punto di partenza e al collegamento con Hezbollah. Se Israele decide di intensificare la sua offensiva militare contro Hamas e rioccupare parte della Striscia, deve anche prendere in considerazione la possibilità che Hezbollah lanci di nuovo attacchi missilistici contro Israele dal territorio libanese. Questo rifletterebbe la solidarietà di Iran e Siria con Hamas e una via di fuga per Hezbollah dalla crisi interna libanese che ha contribuito a creare; sarebbe inoltre un modo per vendicare l’uccisione di Mughniyeh della quale Israele è considerata responsabile.

Siamo arrivati alla conclusione che abbiamo buone ragioni né per parlare con Hamas né per rioccupare la striscia di Gaza. Eppure qualcosa dobbiamo pur fare. Ricordate Eli Wallach nel “Il buono, il brutto e il cattivo?” “Se vuoi sparare spara, non parlare”. Non abbiamo ancora deciso.

Traduzione di Martina Sani 

NOTE SULL'AUTORE 

Yossi Alpher

Consulente e scrittore israeliano su questioni strategiche legate ad Israele. È codirettore di bitterlemons.org e bitterlemons-international.org insieme a Ghassan Khatib,  fa anche parte del comitato esecutivo del Consiglio per la Pace e la Sicurezza.

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