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L’Analisi

Un ordinamento giuridico che valga per tutti

di Lucio Caracciolo

Data pubblicazione: 9 gennaio 2007

Ho l’impressione che in Italia, a livello di classe politica manchi totalmente il senso dell’urgenza dei problemi in questione. Li si tratta in situazioni di emergenza e quindi in una logica di sicurezza, oppure come una questione esotica, che non ci tocca direttamente, e che può essere sostanzialmente rimandata. Credo invece che sia un tema urgente, che riguarda il nostro modo di vivere insieme, quale che sia la nostra religione. Da questo punto di vista, l’iniziativa che c’è stata qui presentata, e cioè il decalogo, è sicuramente un passo avanti che, credo, dovrebbe essere portato a un dibattito politico e non solo di società civile. Non credo al “dialogo fra civiltà”, è una definizione troppo astratta, che molto spesso tende a giustificare il suo contrario, cioè lo scontro. Il dialogo, se è tale, avviene tra persone che possono rappresentare se stesse o, meglio, istituzioni civili o religiose, che, evolvendosi, cambiano e sanno che il punto di vista altrui ha la stessa legittimità del proprio. Qui sta la radice di qualsiasi dialogo che non si riduca semplicemente a due monologhi, peggio ancora se rappresentativi di presunte civiltà, o spazi iperuranici di difficile collocazione. Le conseguenze di un simile comportamento spesso possono essere gravi. Da una parte il sorgere di un senso di estraniazione, che non permette il dialogo e si trasforma in elemento da strumentalizzare, da parte di forze politiche che predicano l’islamofobia, e delineano la minaccia di una realtà islamica monolitica. Oppure può condurre ad atteggiamenti tipo quelli che si sono visti in Francia, per cui lo stato sceglie con chi dialogare, senza considerare il ruolo che l’interlocutore effettivamente ricopre nella sua società. Bisogna dialogare, o, meglio, negoziare, dato che si tratta di politica e di società, con chi effettivamente rappresenta un’autorità. Se poi questa autorità è portatrice di idee molto lontane da quelle che vorremmo, avremo maggiori difficoltà, ma il negoziato sarà ancora più necessario, a meno di non voler reprimere l’altro. Quale deve essere il principio di fondo di qualsiasi negoziato? Anche se il nostro è uno stato particolare, dato il regime speciale che ci lega alla Chiesa cattolica, il principio di fondo per me è uno solo: l’esistenza di un solo ordinamento giuridico che valga per tutti. Qualsiasi inclinazione verso società parallele o gruppi che in qualche modo si costituiscono una nicchia va scoraggiata e combattuta perché è lì che comincia a nascere veramente un pericolo. Allo stesso tempo, credo che esista un problema culturale profondo, cioè una scarsa conoscenza reciproca, in cui noi italiani ignoriamo più cose degli immigrati di quante ignorino loro di noi. Questo ci pone in una situazione di svantaggio e di diffidenza, perché non conoscere il proprio interlocutore induce a pensarne male, istintivamente. Nel nostro decalogo vi sono alcuni punti interessanti su cui varrebbe la pena insistere, in particolare sul ruolo dei media che in Italia è assolutamente inadeguato. Esiste in Italia ad esempio un canale in lingua araba che viene anche diffuso nei Paesi mediterranei di cultura islamica, che si chiama Rai Med, il quale però è ancora un po’ troppo provinciale per suscitare l’interesse dei partner mediterranei. Sarebbe, credo, più utile che canali di questo genere, che appunto meritoriamente puntano su una lingua straniera, per facilitare la conoscenza reciproca, non solo fossero la traduzione di come noi parliamo di noi stessi, ma fossero anche un modo per inglobare nel nostro modo di vedere noi stessi punti di vista altrui e quindi far parlare coloro che nella sponda del Mediterraneo sono protagonisti o dovrebbero esserlo. Un altro aspetto fondamentale che si colloca in questo contesto è la conoscenza tra le culture del Mediterraneo. Come tutti sanno, “Mediterraneo” in Europa è una brutta parola, e nell’Europa Continentale si usa in senso negativo. È paradossale per chi conosce un po’ la storia, ma è un fatto. Se poi vediamo a chi vengono stanziati i fondi comunitari per il mondo mediterraneo ci accorgiamo che si privilegiano Paesi di recente ingresso nell’Unione Europea, solamente perché culturalmente più prossimi a noi, a scapito di Paesi più importanti dal punto di vista demografico, se non altro, quanto meno. Il fatto appunto che questa indifferenza culturale poi si traduca anche in un’indifferenza di politica economica produce un’immagine molto negativa dell’Italia e dell’Europa nei Paesi di cultura islamica. Concludo con una notazione. Dicevo prima che qualsiasi tipo di negoziato presuppone una disposizione al compromesso. Io credo che questo sia molto importante perché l’appartenenza religiosa, a seconda di dove viene praticata, inevitabilmente prende degli accenti e delle curvature diverse. Questo ci ricorda che le definizioni accademiche, euristiche, che vogliono ridurre grandi culture e religioni a una sorta di unicum in cui tutti quanti obbediscono a dei precetti allo stesso modo è qualche cosa che all’atto pratico non esiste. Uno dei vantaggi del negoziato e quindi dell’approccio di apertura verso il prossimo è quello di poterlo fondare sulle differenze. Naturalmente le prospettive finali sono aperte. Da questo punto di vista credo che vi sia un problema che riguarda la partecipazione politica e il diritto di cittadinanza in Italia e in Europa. Se prendiamo sul serio questo negoziato, una parte fondamentale di esso sarà il diritto delle comunità di immigrati e delle comunità di persone che appartengono a orizzonti culturali molto lontani dal nostro di partecipare attivamente alla nostra vita sociale. Questo significa molto concretamente che il nostro Paese non può permettersi più, caso quasi unico in Europa, di poggiare la propria definizione di italiano su un concetto di sangue. Finché questo orizzonte finale non si delinea, evidentemente diamo dei limiti di partenza al negoziato che sono piuttosto soffocanti. Per quanto riguarda la questione della cittadinanza, io credo che si debba lasciare aperta la prospettiva della cittadinanza a tutti coloro che vivono stabilmente in questo paese secondo due criteri di fondo: il primo di tempo, cioè dopo quanto una persona abbia diritto alla cittadinanza italiana, e il secondo di rapporto con il nostro ordinamento giuridico, che deve essere accettato completamente e senza ambiguità. Altrimenti si creano paradossi come quello attuale, per cui persone che vivono da 50 anni a Melbourne oe nell’Ontario decidono del governo italiano, più di altri che sono qui da 20 anni. Grazie.

NOTE SULL'AUTORE 

Lucio Caracciolo

Direttore della Rivista italiana di geopolitica Limes (www.limesonline.com)

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