Home ≫ ANALISI

L’Analisi

Non è più possibile l’indifferenza tra comunità

di Paolo Branca

Data pubblicazione: 9 gennaio 2007

Penso sia un segnale molto positivo che, da parte di quella che si può chiamare la società civile, ci sia un’iniziativa come quella del decalogo, che stimoli le istituzioni. Queste ultime le sentiamo a volte un po’ distanti, specialmente con l’ingorgo istituzionale che negli ultimi tempi ci ha un po’ tutti travolti. Va sempre ricordato che le istituzioni sono al servizio dei cittadini, della collettività e quindi anche delle persone di diversa provenienza che caratterizzano sempre di più la nostra società pluralistica.
Ovviamente siamo coscienti dei nostri limiti, cioè dei limiti personali e dell’apporto che possiamo dare in questo senso, ma soprattutto del fatto che questo tipo di stimoli sono un motorino di avviamento per qualcos’altro che dovrebbe prendere l’avvio nelle nuove società. La mia esperienza personale negli ultimi vent’anni e oltre già mi conforta, nel senso che qualche decennio fa non era così semplice iniziare un’interlocuzione e fare delle proposte. Oggi è più facile perché, come abbiamo detto anche nel decalogo, non è più possibile l’indifferenza e le comunità sono maturate, sia quella dei musulmani immigrati, che degli italiani convertiti. Nei luoghi come la scuola, gli ambienti di lavoro, le università, complici anche le tensioni internazionali, ci si interessa sempre di più di questo tipo di problematiche. Queste provocazioni però rimarranno sterili, se non daranno vita a un movimento, a un’attività, a un impegno successivo e costante. Questo decalogo è una proposta. Forse il nome è un po’ pretenzioso. Naturalmente le idee qui contenute possono essere completate, modificate. Si è cercato di farlo proprio nella prospettiva del lavoro sul terreno, insieme alle persone e alle comunità. Vedrete che molti punti incominciano con verbi quali “incoraggiare, stimolare, valorizzare, offrire, promuovere”. Dalle istituzioni ci aspettiamo supporto e anche un coordinamento, perché forse molte iniziative che nascono spontaneamente finiscono poi per accavallarsi e ripetersi, magari con gli stessi errori di quelle precedenti. Chiediamo alle istituzioni questo servizio di censimento, di orientamento e di supporto, ma non illudiamoci che esse possano sostituirsi al ruolo della società e delle comunità. Non vinceremo nessuna battaglia a livello politico se non l’avremo preparata adeguatamente a livello sociale, così come le battaglie già perse a livello sociale non si vincono a livello politico. Una società sana deve far presente ai suoi amministratori le situazioni che ritiene non più tollerabili. A. Sen, grande economista indiano, ha scritto che in India sono finite le carestie, dove morivano moltissime persone, quando la gente non le ha più sopportate e avrebbe chiesto contro al governo. Non è sbagliata l’idea di non supportare più i governi, locali e nazionali, che fanno finta che alcuni problemi non ci siano mentre si interessano di altre cose, per mantenere clientele e privilegi. Il nostro auspicio è che questo piccolo contributo possa aiutare tutti, e che le istituzioni stesse siano stimolate vedendo che siamo in grado di fare un lavoro comune e partire da esigenze reali. Recentemente abbiamo avuto ospite qui a Milano una ricercatrice dell’università di Saint Joseph, di Beirut, molto impegnata nel dialogo interculturale e interreligioso nel suo Paese, che, come sapete, è molto problematico da questo punto di vista e ha vissuto molti anni di guerra civile. Ci sono 18 confessioni religiose diverse in Libano, ci sono stati massacri, ci sono stati fenomeni che, per non usare il termine “deportazioni”, sono stati chiamati deplacéments, cioè casi di persone portate via dai luoghi dove erano nate e vissute. Questa ricercatrice va nei villaggi per cercare di far parlare coloro che hanno vissuto questo trauma senza averlo elaborato e superato. Io l’ho accompagnata a visitare Milano e i dintorni, laddove ci sono comunità islamiche e purtroppo abbiamo dovuto riconoscere che le iniziative a favore del dialogo sono davvero sporadiche: una conferenza, un dibattito, una tavola rotonda, che possono addirittura fungere da alibi… ci si può convincere di avere la coscienza a posto perché si è organizzato un incontro in una parrocchia, in un centro culturale, in una biblioteca, forse anche in un’università. Eppure non possiamo pensare di accontentarci di un dialogo abborracciato. Dobbiamo restare in contatto e continuare a parlare insieme. Il decalogo paradossalmente può servire anche per essere distrutto o rielaborato: se fra qualche mese da questo ne scaturirà uno nuovo, vorrà dire che ci è stato utile. Se rimarrà così ma non servirà a niente, e nessuno lo leggerà, allora non raggiungerà il suo scopo. Le dichiarazioni di principio lasciano il tempo che trovano. Lo stesso suggerimento vale naturalmente per le comunità di stranieri che vivono qui. Mi chiedo perché molte altre comunità che sono in Italia da tempo, come gli egiziani, i tunisini, i marocchini, non abbiano già pensato appunto a scrivere qualche pagina per i loro conterranei, in cui spiegare loro che cos’è l’Italia. Io penso che se nascesse qualche seria iniziativa in tal senso, potrebbe trovare anche finanziamenti, nella miriade di associazioni di volontariato che lavorano con gli immigrati e potrebbe aiutarli nel fare un lavoro di mediazione culturale. Al momento sto seguendo un progetto con un gruppo di giovani musulmani italiani, anche se non ancora cittadini per questioni burocratiche, per realizzare un DVD di presentazione dell’Islam agli italiani, attraverso i volti, la vita di questi giovani. Sarebbe bello se qualcuno del mondo arabo, mediorientale, pakistano, iraniano venisse a chiedere il nostro contributo per rappresentare l’Italia ai suoi concittadini, che magari arrivano nel nostro Paese e hanno un’idea dell’Italia mutuata dalle pubblicità, dai cartelloni e dai pregiudizi epidermici che tutti abbiamo verso le altre culture. Il sistema mediatico sicuramente contribuisce a dar vita a una sola visione, in genere catastrofica. I problemi ci sono, per carità, come i terroristi e i gruppi islamici radicali, ma non sono l’unica realtà. La stessa parzialità è presente nella controparte. Mi sento offeso, come cittadino milanese, dal fatto che esista da non so quanti anni un centro islamico in viale Jenner (ma potrebbe essere anche buddista, indù o laico) che non è adeguato alla comunità che vi si ritrova, che crea problemi ai cittadini del quartiere, che alimenta soltanto risentimenti dalle due parti. Trovo indecente e indecoroso che rimanga lì senza che nessuno, di nessuna parte politica, in tanti anni abbia proposto una soluzione ragionevole. E, in aggiunta a tutto questo, c’è una forma di strumentalizzazione dell’Islam e della religione, dovuta all’ignoranza. È vero, sono pochi quelli che sarebbero in grado di arrivare ad insegnare religione adeguatamente nelle scuole. Però noi abbiamo un ex presidente del senato e un Santo Padre che hanno scritto insieme un libro dal titolo Senza radici, dove hanno manifestato un senso di allarme sull’identità dell’Europa. Che senso ha parlare di radici quando poi all’interno delle nostre università gli studenti escono con una laurea in lettere o in filosofia, e sono completamente analfabeti per quanto riguarda la Bibbia? Allora de-cristianizziamo la Bibbia, de-islamizziamo il Corano, forniamo delle informazioni di base senza le quali non si capirebbe niente dell’arte, della filosofia, della musica, della letteratura, del proprio mondo e dei mondi attigui. Io non penso che l’ora di religione non serva, è così perché è stata considerata soltanto un territorio su cui piantare una bandiera. Ma è indispensabile invece che si recuperi una cultura religiosa, non confessionale, perché altrimenti presto non capiremo più la nostra stessa letteratura… e non parlo solo di Dante, ma anche di autori recenti come Thomas Mann, che ha scritto Giuseppe e i suoi fratelli. Questo è un pericolo enorme per la sopravvivenza di una civiltà, la nostra in questo caso, ed è un pericolo ancora maggiore perché ci impedisce di accogliere adeguatamente altre culture e religioni. Il Corano, per restare in tema, ha un intero capitolo dedicato alla figura di Giuseppe, quindi potrebbe essere persino una provvidenziale provocazione. Ci sarebbe moltissimo da fare anche dal punto di vista della formazione. Ma non solo. Molte delle nostre tradizioni sono difese proprio grazie al lavoro degli stranieri. Non sono i nostri professionisti, medici, ingegneri, architetti, artisti, a far sopravvivere i nostri prodotti tipici. Se non ci fossero i marocchini negli alpeggi della Val d’Aosta… Di questo aspetto della presenza straniera non si parla abbastanza. Concludo sottolineando ancora la necessità di mobilitare la base, fare esperienze modello, tentativi che dovranno certo essere perfezionati, ma non posiamo lasciare la questione solo in mano alle nostre autorità, né religiose e né politiche perché, mi dispiace dirlo, rischiamo la catastrofe. Tornando a menzionare quest’amica libanese, cristiana maronita: mi ha raccontato che in Libano, dopo la guerra civile, si sta tentando di introdurre nelle scuole un’ora sul fenomeno religioso. Insieme, musulmani, cristiani, drusi e le varie altre comunità stanno inoltre scrivendo un libro sulla storia del Libano, dove ognuna di esse possa riconoscersi. Credo che scelte di questo tipo possano garantire un futuro a quello sventurato Paese. E non solo a quello. Mettere insieme il meglio delle nostre rispettive tradizioni in chiave interdisciplinare, è una cosa difficilissima, molto impegnativa, ma essenziale. Non dobbiamo permettere che la cultura si sviluppi a scomparti impermeabili, né favorire la creazione di ghetti in cui ciascuno cerca di ritagliarsi il suo piccolo spazio. Dobbiamo essere molto ambiziosi e quindi anche molto impegnati. Non aspettiamoci che siano coloro che, di volta in volta, gestiscono il potere a risolvere le cose. Dovremo essere noi a chiederglielo e a pretenderlo, quando avremo la maturità per farlo. Grazie.

NOTE SULL'AUTORE 

Paolo Branca

Professore di Lingua e Letteratura Araba e Storia e Letteratura dei Paesi Islamici all’Università Cattolica del Sacro Cuore Milano.

Leggi tutte le ANALISI