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L’Analisi

Dopo Gaza può ancora nascere la speranza di pace

di Antonio Ferrari

Data pubblicazione:5 luglio 2007

In un mondo dominato dall’immagine, dove l’immagine si sovrappone alla realtà, contano i messaggi più semplici ed elementari. Questi raggiungono la massa, mentre le analisi e le spiegazioni sono riservate a un pubblico assai più ristretto, attento e volonteroso. Il messaggio giunto dalla Palestina, nelle scorse settimane, è quanto di peggio i palestinesi potessero offrire. Il contenuto è brutale: “Si ammazzano fra di loro!” Messaggio devastante, che deprime chi cerca pazientemente la via del dialogo, ed esalta quei popolari predicatori, chi ritengono i palestinesi violenti, “inaffidabili come tutti gli altri arabi”, quindi inevitabilmente votati al “suicidio”.
Quelle sequenze televisive, girate a Gaza, con gli uomini del Fatah denudati, derisi e umiliati dai loro fratelli di Hamas, e poi i delitti, le vendette, le rese dei conti hanno nuociuto enormemente alla causa palestinese. Chi ha ancora la volontà di capire viene pervaso da un senso di scoramento, di delusione, e persino da un moto di rabbia. Eppure, dal disastro che si è consumato, con la creazione di fatto di due Palestine, due entità separate da un odio crescente, potrebbe nascere persino qualcosa di positivo. È pur vero che il presidente palestinese Abu Mazen non conta molto, anzi secondo numerosi analisti è in caduta libera di prestigio, però la creazione di un governo di emergenza, pur zoppo e non riconosciuto da una parte degli elettori, può contribuire, almeno in Cisgiordania, ad alleviare una situazione pesantissima. E cioè: riottenere la fiducia internazionale, con la fine dell’embargo cominciato con la vittoria di Hamas alle elezioni del 2006; migliorare le condizioni di vita della gente; rinvigorire la parte laica della società palestinese (che non è minoritaria); spingere Israele, che finora ha fatto poco, quasi niente, per aiutare il moderato Abu Mazen, a un atteggiamento più collaborativo; consentire la partenza dei lavori del Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia), che a tutt’oggi non ha realizzato proprio niente, per cominciare quell’arduo cammino verso la costruzione di due Stati – Israele e Palestina- che vivano l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza.
Si dirà: ma come è possibile creare un fronte comune palestinese se la Striscia di Gaza è diventata un ghetto, una micro-isola di reietti, prigionieri di estremisti? Paradossalmente, ma qui bisogna affidarsi alle esauste riserve di ottimismo, l’isolamento di Hamas (persino i sostenitori esterni dei fondamentalisti hanno criticato, se non proprio respinto, il tentativo di “golpe”) potrebbe rinvigorire la componente più ragionevole del movimento, resa forse più consapevole dall’inutilità di quanto è accaduto. In altre parole, cercare di prendere il sopravvento sui falchi, fautori del tanto peggio tanto meglio e sostenitori della creazione di uno micro-Stato islamico a Gaza. C’è infatti da considerare che anche molti elettori della Striscia, che votarono Hamas per protesta contro la corruzione dei laici del Fatah, di fronte a quello che si presenta come un autentico disastro potrebbero allontanarsi dalle sirene del radicalismo più cieco. Infatti, il rischio è che all’isolamento si accosti la disperazione, la fame, l’impossibilità di soddisfare i bisogni più elementari, l’umiliazione continua della propria dignità. Ecco perché Abu Mazen, se riuscirà davvero a rafforzarsi, potrebbe persino diventare l’uomo della provvidenza. Senza illusioni, è importante lasciare aperta la finestra della speranza.

NOTE SULL'AUTORE 

Antonio Ferrari

Giornalista e scrittore, nato a Modena nel 1946. Ha cominciato come cronista al «Secolo XIX» di Genova, e dal 1973 è al «Corriere della Sera»: inviato speciale ed editorialista. Dopo aver seguito gli anni del terrorismo italiano, con le trame nere e rosse, è passato all'estero. Prima in Europa e nei Paesi dell'Est comunista, per approdare nei Balcani, nel Medio Oriente e in Nord Africa. Ha seguito quasi tutte le crisi di queste regioni, le guerre, i tentativi di pacificarle. Ha intervistato, nel corso degli anni, quasi tutti i leader di un'area estesa ed estremamente variegata. È membro del Comitato scientifico del CIPMO (Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente) e di Gariwo (La foresta dei Giusti).

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