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L’Analisi

Cosa vuole Sharon

di  Eric Salerno

Data pubblicazione:14 dicembre 2005

“Ariel Sharon sta imboccando una strada che farà storia, senza rendersene conto”. L’israeliano che cerca di spiegarmi ciò che, secondo lui, sta accadendo non ha dubbi. E’ un uomo di media età. Un professionista. Vota a sinistra ma è aperto a tutte le idee. Non ama Sharon e non voterà per lui anche se ammette che qualcosa di molto importante sta per accadere in Israele. Non c’è bisogno di leggere i risultati dell’ultimo sondaggio per capire che il premier vincerà le elezioni del 28 marzo. Se si votasse oggi, metà dicembre, dei 120 seggi alla Knesset, ben 39 (cinque più della scorsa settimana) andrebbero a Kadima, l’invenzione politica di Sharon. I laburisti, con il loro nuovo leader, Amir Peretz (da non confondere con il vecchio Simon Peres, passato a sostenere il vincitore Sharon) porterebbe a casa 23 (4 meno della settimana scorsa), il Likud, partito storico del centro-destra fondato dal premier metterebbe insieme appena 13 seggi. Sharon risulta molto più credibile di Peretz, ed è considerato da una larga maggioranza più capace di Peretz a gestire la sicurezza. Corruzione (di cui il premier è accusato) non è un elemento che sembra interessare più di tanto gli elettori, e le grandi riforme sociali promesse da Peretz, ex capo del potente sindacato Histadrut, passano in secondo piano rispetto a tutto il resto.

Ammettiamo pure che le sorprese sono possibili. Un attentato alla vigilia del voto è capace di rovesciare anche le previsioni più consolidate, sta di fatto che lo sguardo di tutti è su cosa farà Sharon una volta eletto. E cosa è andato a fare con lui il premio Nobel Peres che ha abbandonato la sua casa laburista? L’opinione pubblica israeliana non ha molto rispetto per la decisione di Peres. Si è fatto sconfiggere da Peretz alle primarie prima di scegliere Sharon mentre se fosse stato veramente convinto della via imboccata dal premier avrebbe potuto rassegnare le dimissioni dal partito laburista subito quando il premier ha lasciato il Likud senza prendere parte alle primarie del partito. La scelta dell’anziano statista laburista già sta servendo gli interessi di Sharon e della sua piattaforma, più laburista che centrista. Numerosi quadri del partito di sinistra si sono spostati verso Kadima portandosi dietro una fetta d’elettori laburisti che hanno paura del populismo di Peretz (e dei sostenitori sefarditi del nuovo leader) e vogliono credere in uno Sharon completamente nuovo.

Che l’attuale premier sia l’unica personalità in grado di condurre Israele verso la pace con i palestinesi è un dato di fatto. Ha carisma, il suo passato costituisce una garanzia per coloro che hanno a cuore la sicurezza d’Israele. Farà concessioni, dolorose continua a ripetere, ma non tali da pregiudicare l’esistenza dello Stato che ha contribuito a forgiare. Ha chiuso gli insediamenti di Gaza, ha ritirato le truppe dalla “striscia”, e ora promette un negoziato che deve servire a raggiungere un accordo con la dirigenza palestinese e la formazione di uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele. La piattaforma laburista e di Kadima hanno in comune un punto importante e molto del futuro dipende da quanto sarà rispettato: Gerusalemme capitale indivisa d’Israele sotto la totale sovranità israeliana.

È evidente a tutti che la pace vera a queste condizioni è impossibile. Sarà necessaria flessibilità, constructive thinking, idee nuove o vecchie da rimettere in campo. Amir Peretz, nell’illustrare la piattaforma agli ambasciatori stranieri accreditati in Israele, non ha spiegato come intende affrontare, in un negoziato accelerato, la questione di Geusalemme e dei luoghi santi. E Sharon, lui che anni fa, provocatoriamente, acquistò una casa nel quartiere arabo della città vecchia, non fa che ripetere che Gerusalemme non è sul piatto. Negoziati su tutto, dice, parafrasando la road-map, ma non sulla città santa. Il mio amico israeliano e molti come lui ritengono che Sharon spera nell’incapacità palestinese di mettere ordine in casa, che la violenza continui, fornendogli la scusa-giustificazione per una serie di nuove misure unilaterali. Un suo ministro ha suscitato polemica, giorni fa, affermando che contrariamente a quanto sostenuto finora il Muro, la famosa barriera che Israele sta costruendo in mezzo alla Palestina e anche in mezzo ai quartieri arabi di Gerusalemme per “motivi di sicurezza”, costituirà il confine futuro d’Israele. Significherebbe l’allargamento del paese e l’usurpazione definitiva d’altre terre arabe. Gli abitanti di molti insediamenti minori si sono detti pronti a lasciare la Cisgiordania anche subito mentre continuano, nonostante le proteste della comunità internazionale, Washington compresa, la costruzione di casa e infrastrutture negli insediamenti che Sharon vorrebbe integrare nello Stato d’Israele. Ritiro unilaterale, dunque e rinvio a un “futuro migliore” per il negoziato e la pace?

Torniamo, però, a Gerusalemme. Il braccio destro del premier, l’ex sindaco di Gerusalemme Ehud Olmert, contraddice Sharon e ripete che nei negoziati futuri si dovrà parlare anche della città santa. E a settembre, fonti vicine al premier mi hanno parlato di un piano segreto. Sharon non lo ama ma, secondo i miei interlocutori, lo potrebbe adottare se fosse costretto dalle pressioni americane ad andare fino in fondo con la dirigenza palestinese. E’ un piano non nuovo nella sua concezione e, almeno in teoria, potrebbe stare bene a tutti. La “città vecchia”, quella entro le mura di Saladino, sarebbe sottoposta a mandato internazionale con libero accesso per tutti. Una parte dei quartieri arabi diventerebbe la capitale dello Stato palestinese. Il resto verrebbe riconosciuta come capitale d’Israele.

Se e quando sarà adottato questo piano dipende da troppi fattori che vanno dalle buone intenzioni di Sharon (tutte da verificare) alla capacità palestinese di gestire la società interna, passando attraverso mille incognite che, come in passato, possono deragliare anche gli sforzi più sinceri per giungere alla fine del conflitto.

NOTE SULL'AUTORE 

Eric Salerno

Giornalista, inviato speciale, esperto di questioni africane e mediorientali, è corrispondente de Il Messaggero. Con il Saggiatore ha pubblicato Uccideteli tutti! (2008), Mossad base Italia (2010), Rossi a Manhattan (2013) e a marzo 2016, Intrigo.

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