L’Editoriale 

Dopo Ginevra

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione:20 gennaio 2004

L’accordo di pace tra israeliani e palestinesi firmato a Ginevra (www.geneva-accord.org), il 1° dicembre 2003, ha avuto valutazioni contrastanti, ma la sua rilevanza è innegabile.

Si è trattato, certo, di un accordo informale, è stato detto virtuale, tra rappresentanti non ufficiali delle due parti.

Ma le personalità che hanno siglato quel documento non sono certo casuali, fanno parte integrante della storia stessa del processo di pace tra i due popoli, a cominciare dagli accordi di Oslo e di Washington del ’73, a cui alcuni fra loro hanno lavorato in prima persona.

Le proposte individuate non nascono da zero, ma rappresentano lo sviluppo coerente degli ultimi negoziati di Camp David e Taba, del 2000 – 2001.

E proprio da quei negoziati sono partiti i due portavoce dell’Iniziativa di Ginevra, Yossi Beilin e Yasser Abed Rabbo, per svilupparli e colmare le lacune residue, che avevano impedito l’accordo.

Non si tratta infatti di un concept paper, ma di un testo articolato di circa 50 pagine, in cui si affronta nei dettagli anche i problemi più controversi, come la questione dei rifugiati o quella di Gerusalemme.

La mancata accettazione formale delle due parti nasconde, in realtà, due approcci differenti: Rabbo è da sempre una tra le personalità palestinesi più vicine ad Arafat, gli è rimasto accanto alla Mukata nei giorni dell’assedio: è difficile immaginare che abbia portato avanti questa iniziativa senza il suo assenso. Questo non significa che questa sia “la scelta” di Arafat, ma piuttosto una delle scelte possibili, una delle linee su cui egli gioca contemporaneamente, valutando quale possa essere la più conveniente.

Inoltre, per i palestinesi quella di Ginevra è una proposta di mediazione, già difficile da accettare, e essi non vogliono che diventi una proposta palestinese, da cui ripartire per arrivare a nuove mediazioni ancora più arretrate.

Nel rifiuto di Sharon si esprime al contrario un dissenso radicale e profondo, di principio. Anche se l’accordo di Ginevra lo ha spinto a rilanciare sul piano diplomatico, sia pure in modo contraddittorio con la Road Map, con la proposta di ritiro unilaterale dai territori palestinesi.

Tuttavia, l’Iniziativa di Ginevra offre alle forze di pace in Israele una nuova, importante opportunità, per uscire dalla crisi in cui erano piombate dopo il fallimento del negoziato di Camp David 2.

È diverso doversi presentare agli elettori, come avvenne nel 2001, dichiarando di voler fare la pace con i palestinesi, che tuttavia rifiutano le proposte avanzate, o poter invece dire alla pubblica opinione che c’è una proposta dettagliata, elaborata con la controparte, che può dare la pace ai due popoli, anche a costo di sacrifici dolorosi.

La crescita delle adesioni alla bozza di accordo, rilevata dai sondaggi man mano che aumentava la sua diffusione e la conoscenza dei suoi contenuti, testimonia l’incisività e fondatezza delle soluzioni trovate.

Che non si tratti di una impostazione velleitaria e senza fondamento è testimoniato anche dalla rilevanza dei consensi internazionali ottenuti: da Bush a Colin Powell, a Tony Blair, a Romano Prodi, a Kofi Annan, a Xavier Solana, al Re del Marocco, Mohammed VI, a Re Abdallah di Giordania, a Mubarak, a Amr Moussa, Segretario Generale della Lega Araba.

Inutile sottolineare l’importanza dell’appoggio dei principali leader degli Stati Uniti e dell’Europa.

Quanto alle adesioni dei principali leader del mondo arabo, esse sono molto rilevanti, perché fanno seguito alla iniziativa assunta dal vertice arabo di Beirut, il 28 marzo 2002, su iniziativa dell’Arabia Saudita, che proponeva l’accettazione da parte di Israele di uno Stato palestinese indipendente, con Gerusalemme Est come sua capitale, in cambio dello stabilirsi di normali relazioni nel contesto di una pace completa con Israele.

L’attenzione con cui il mondo arabo guarda a Ginevra pare significare che quella bozza di accordo potrebbe essere considerato soddisfacente e in grado di rendere possibile la realizzazione di una pace globale e permanente tra Israele e il mondo arabo, una volta risolti i contenziosi con Siria e Libano.

Resta a dire dell’iniziativa nel nostro paese.

Il 18 dicembre, il nostro Centro, di intesa con un largo schieramento di forze sociali, ha creato un Comitato Italiano di appoggio all’Iniziativa di Ginevra ha aderito un largo schieramento di forze sociali e culturali, e di organizzazioni non governative. La presentazione del Comitato, avvenuta in Campidoglio, alla presenza dei portavoce Yossi Beilin e Yasser Abed Rabbo e del Sindaco di Roma, Walter Veltroni, ha destato un largo interesse e ha avuto larga eco sui media.

Si è registrato l’appoggio di tutti i partiti di centro sinistra e di sinistra, attraverso la presenza dei loro segretari nazionali che hanno anche indirizzato una lettera comune di adesione al Comitato di appoggio.

Beilin e Rabbo sono stati altresì ricevuti lungamente dal Ministro Franco Frattini, che in una dichiarazione all’ANSA ha espresso “apprezzamento per un’iniziativa utile ad accrescere, presso le opinioni pubbliche israeliana e palestinese, la consapevolezza degli sforzi necessari da entrambe le parti e delle concessioni reciproche che dovranno essere fatte per giungere a una soluzione negoziata del conflitto in Terra Santa.

In questo senso l’iniziativa di Ginevra costituisce un valido contributo all’impegno del Quartetto (Usa, Russia, Ue, Onu) a favore dell’attuazione della Road Map, che resta l’unica base per l’immediata ripresa del negoziato tra le parti, con l’obiettivo di una pace globale, giusta e duratura in Medio Oriente”.

La dichiarazione del Ministro Frattini conferma che il giudizio sull’Iniziativa di Ginevra non può essere riconducibile ad una logica di schieramento interno, Ulivo contro Polo.

Una iniziativa che ha ricevuto, come già ricordato, l’apprezzamento e il sostegno di personalità come Bush, Colin Powell, Tony Blair, Romano Prodi, Kofi Annan, deve poter contare su un appoggio largo, di merito, bipartisan.

Come noi, in Italia, ci impegniamo a sostenere, anche materialmente, i promotori di quell’iniziativa, siamo consapevoli che da essa può venire un contributo al movimento italiano per una pace giusta in Medio Oriente, che gli consenta di uscire compiutamente da visioni schematiche e residue logiche di schieramento acritico; e che consenta allo stesso mondo politico italiano, di destra e di sinistra, di elaborare attraverso un confronto sui contenuti una piattaforma non episodica, incisiva ed equilibrata sul problema mediorientale.

Una piattaforma che sia in grado di costruire una presenza italiana nell’area di carattere strategico e di lungo periodo, rifuggendo da sbandate e fughe in avanti, troppo spesso strumentali o effettuate in base ad una logica di breve termine o di ricerca di consenso.

Il Comitato Italiano di Appoggio intende ora promuovere:

La organizzazione di seminari di approfondimento sugli accordi di Ginevra

La formazione di specifici Comitati nelle principali città, sempre con una impostazione larga e non di parte.

Un itinerario di iniziative di presentazione dell’Accordo, con la presenza di personalità firmatarie dello stesso, per diffonderne la conoscenza e accrescerne il consenso e il sostegno anche materiale ai suoi promotori.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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