L’Editoriale 

La vittoria di Abu Mazen

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 14 gennaio 2005

La vittoria di Abu Mazen si caratterizza per una continuità formale e per una rottura sostanziale con l’eredità di Arafat. Il nuovo leader, che fu l’artefice palestinese degli accordi di Oslo, pur tra inevitabili ambiguità tattiche, ha espresso chiaramente la propria condanna per la scelta di militarizzare l’intifada, e la scelta di tornare al confronto diplomatico con Israele e con Sharon.

La vittoria di Abu Mazen è stata tanto più significativa perché è avvenuta con circa il 62% dei consensi, e non con percentuali bulgare. Anche la percentuale degli astenuti (circa il 30%) è fisiologica, tenuto conto dei persistenti ostacoli al voto, e non coincide con l’area del fondamentalismo islamico, al contrario un po’ erosa. Il presidente eletto ha saputo incarnare la speranza e la stanchezza del suo popolo, la sua voglia di normalità e di futuro.

E’ importante che, appena eletto, egli abbia dichiarato di voler procedere di pari passo con l’iniziativa diplomatica internazionale e con quella di riforma interna dell’ANP, sviluppandone la democrazia, il pluralismo, la trasparenza e la divisione dei poteri. L’annuncio delle elezioni legislative palestinesi per il prossimo 17 luglio, e delle successive elezioni interne a Al Fatah, conferma in pieno questa linea di tendenza.

69 anni, malato gravemente, il Presidente eletto non rappresenta il futuro palestinese, ma ne incarna il presente che aspira al futuro. La mediazione raggiunta con Marwan Barghuti, il Giovane leader dell’Intifada all’ergastolo nelle carceri israeliane, convinto a rinunciare alla candidatura, l’alleanza con l’emergente figura di Mohammed Dahlan, uomo forte di Gaza, hanno consentito di raggiungere la vittoria, ma il confronto non tarderà a riaprirsi già in vista delle prossime legislative, per le quali la giovane guardia rivendicherà i suoi spazi.

Infine, Hamas non ha partecipato alle elezioni, e questa scelta ha avuto una duplice valenza: di disconoscimento della loro legittimità, ma anche di mancata contrapposizione ad Abu Mazen, verso cui, appena eletto, ha dichiarato di volere un rapporto di collaborazione. La formazione islamica ha già annunciato la partecipazione alle prossime elezioni municipali e a quelle legislative, avviando così una possibile trasformazione da gruppo armato in partito politico, verso la quale non sarà ininfluente l’atteggiamento israeliano.

Anche in Israele la situazione è in forte cambiamento. Le resistenze che Sharon ha incontrato nel Likud, un terzo del quale ha votato contro la formazione del suo Governo di Unità Nazionale, passato solo grazie al voto favorevole di Yahad, il partito diretto da Yossi Beilin, testimonia della drammaticità dello scontro nella destra e della portata reale del piano di ritiro da Gaza, che spezza il mito della Grande Israele. Ora è possibile che tale piano, da unilaterale, divenga l’inizio di un rinnovato negoziato con la nuova leadership palestinese. Bisognerà superare, tuttavia, un largo fossato di odio e di sfiducia.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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