L’Editoriale 

La mossa del cavallo di Abu Mazen

di Janiki Cingoli, Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 8 giugno 2006

La decisione di Abu Mazen di sottoporre a referendum il “documento dei prigionieri”, proposto da Marwan Barghouti, corrisponde a quella che Vittorio Foa chiamava, riferendosi al gioco degli scacchi, “la mossa del cavallo”. Quando tutti i giochi sembrano fatti, è necessaria una iniziativa che scompagini le fila dell’avversario e cambi i termini del confronto.
Questo è ciò che sta cercando di fare il Presidente palestinese, seguendo una linea su più fronti.

La situazione, infatti, ha subito una brusca accelerazione dopo l’incontro del 23 maggio tra Bush e Olmert della scorsa settimana. I due leader hanno concordato sulla prosecuzione dei ritiri unilaterali israeliani da larga parte della Cisgiordania, se i negoziati con i palestinesi restano bloccati; ma anche sul mantenimento del controllo israeliano sui grandi insediamenti al di qua del muro, destinati ad essere inclusi nei futuri confini dello Stato ebraico, da definire anche unilateralmente entro il 2010. Non si è parlato più di compensazioni e scambi territoriali “reciproci e mutuamente concordati”, per usare i termini della lettera di Bush a Sharon dell’aprile 2004.

Abu Mazen, quindi, ha fretta, perché non vuole restare tagliato fuori e trovarsi di fronte a nuovi fatti compiuti senza possibilità di interloquire. Questo è sicuramente un forte motivo per l’annunciato referendum sul “documento dei prigionieri”, che con ogni probabilità era stato concordato con lui, data la prontezza con cui si è mosso. Il documento è concepito nella stessa logica della storica Dichiarazione di Algeri dell’OLP, del novembre 1988: non si propone un riconoscimento diretto di Israele, ma un riconoscimento indotto, dato che lo Stato palestinese che ci si propone di costruire è compreso entro i confini precedenti il ’67. Questo, tuttavia, non diminuisce l’importanza del documento, che è stato firmato anche da esponenti di primo piano di Hamas e dello Jihad Islamico, oltre che dei gruppi laici estremistici del FLP e del FDLP.

La logica, in qualche modo, è la stessa del Piano arabo di Beirut, che dichiarava la disponibilità al riconoscimento di Israele dopo il suo ritiro dai territori occupati: la questione essenziale è quella del superamento del rifiuto pregiudiziale e ideologico di Hamas verso lo Stato ebraico, non quella di un suo riconoscimento preliminare e immediato. L’arco così largo dei firmatari è stato probabilmente all’origine della riconferma delle posizioni più tradizionali sul diritto al ritorno, prive delle recenti aperture di Abu Mazen.

Il secondo punto è la confluenza delle organizzazioni islamiche nell’OLP, e la creazione di una sua nuova direzione unificata. Verrebbe così ricreata una organizzazione unitaria e rappresentativa di tutte le principali fazioni palestinesi, che sarebbe guidata da Abu Mazen, che dell’OLP è presidente.

Questa sottolineatura del ruolo centrale dell’OLP, che è stata riaffermata con forza anche nell’intervento del Presidente palestinese alla seduta inaugurale del nuovo Consiglio Legislativo palestinese, tende a marcare il fatto che l’ANP, e tanto più il governo guidato da Hamas, è una componente all’interno dell’OLP, cui è delegato l’esclusivo compito di rappresentanza dell’intero popolo palestinese, che comprende anche i rifugiati all’estero.

Infine, sulla base di queste premesse la responsabilità del negoziato con Israele viene affidato dal documento allo stesso Abu Mazen, che ne avrà la titolarità, mentre i suoi esiti dovranno essere approvati dal Consiglio Legislativo Palestinese, o, nel caso questo non avvenisse, attraverso un nuovo referendum.

Si comprende come la prova di forza in corso sul documento Barghouti, che si concluda con un accordo con Hamas o che si vada al referendum, che i sondaggi danno per vinto con notevole margine, pare comunque destinata a rafforzare il ruolo del Presidente palestinese, dandogli nuova credibilità e autorevolezza anche nei confronti degli interlocutori israeliani.

Ma quella che si profila è un processo di ricollocazione profonda della galassia palestinese. La strategia di Abu Mazen si riconferma ancora una volta come duplice: da un lato essa tende a includere Hamas nell’establishment palestinese, e cioè all’interno dell’OLP, evitando uno scontro all’ultimo sangue; dall’altro essa è concorrenziale verso la formazione islamica, puntando a riaffermare la supremazia di Fatah e dello stesso Presidente sull’intero movimento.

Articolo pubblicato su Europa l’8 giugno 2006

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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