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L’Analisi

Ma Sternhell l’aveva detto

Intervista di Maurizio Debanne a Zeev Sternhell

Data pubblicazione: 14 dicembre 2005

Sedici anni fa lei aveva previsto l’evoluzione politica oggi in atto in Israele. La divisione nella destra e nella sinistra e la formazione di un nuovo Partito di centro. Quale è la sua opinione a proposito?

In effetti quelle previsioni oggi si stanno materializzando. La destra si è divisa in una parte estremistica e in un’altra moderata. Il Partito laburista non sta attraversando una scissione come quella che ha coinvolto il Likud. Il Labour ha perduto alcuni elementi della sua ala destra, mentre l’adesione di Shimon Peres a Kadima è la conseguenza della sconfitta subita alle primarie. Se fosse stato eletto leader del Labour oggi non ci avrebbe raccontato che Sharon è il migliore politico per dirigere il paese.
Quello che è veramente interessante notare è non solo la rapidità con cui le cose sono cambiate, ma che è finalmente divenuto chiaro che gli israeliani non sono appiattiti su posizioni di estrema destra. Gli israeliani desiderano arrivare alla pace con i palestinesi. Ma vogliono che siano le élite a mostrare loro come arrivarci. In questo gli israeliani sono molto conformisti. Si è visto con quale facilità si è riuscito a sgomberare gli insediamenti della Striscia di Gaza.
Oggi, se le élite dicessero chiaramente che la pace si costruisce sulla base dei confini tracciati dalla linea verde, pur con alcuni accorgimenti e cambiamenti limitati, ma niente di più, sono certo che gli israeliani lo accetterebbero.

I sondaggi per il momento danno ragione a Peres: Sharon è dato per vincitore.

I sondaggi di oggi forniscono un quadro delle dinamiche attuali, che non saranno però necessariamente i risultati finali delle elezioni. Il Likud risulterà probabilmente un po’ più forte, Sharon un po’ più debole.
Sul Partito laburista è difficile fare previsioni. Dipenderà molto dal modo in cui Peretz condurrà in questi mesi il suo partito. Ma in ogni caso per la prima volta dopo tanti anni il Partito laburista può intravedere la speranza di ritornare ad essere la prima forza di governo. Se vuole raggiungere questo traguardo è necessario che porti avanti con forza le sue idee e convinzioni, in modo da imprimerle sul governo che si formerà dopo le elezioni.
L’ideale, secondo me, sarebbe che il Partito laburista vinca e imponga la sua linea su Kadima. E’difficile, ma non impossibile. Ma il peso politico del Labour sarà comunque importante anche se fosse Sharon a vincere le elezioni, perché quest’ultimo preferirà verosimilmente una coalizione con Peretz piuttosto che con il Likud.
In questo quadro Shimon Peres non avrà un ruolo di primo piano né la guida di un ministero importante. Riceverà la carica di Ministro della Pace o della Cooperazione, come quando era premier Barak.

Quali dunque le differenze tra il partito centrista di Sharon e il Labour di Peretz?

Non definirei Kadima un partito centrista ma di centro-destra. In Israele non esiste un partito di centro. Lo Shinui è stato un incidente. E’ stato il frutto della debolezza del Labour e della prepotenza della destra religiosa. Il Labour si colloca invece su una posizione che al momento definirei di centro sinistra, una posizione più che mai sensibile ai problemi sociali, acuti oggi come mai in Israele.
Peretz parla come deve farlo un leader laburista, mettendo l’accento sui mali che vive la popolazione civile israeliana. Lui ha capito che i problemi sociali dentro il paese e quelli della pace con i palestinesi sono collegati. Questa può rappresentare la sua carta vincente.
Malgrado il suo populismo, la destra sociale si è rivelata capace di attuare solamente politiche neoconservatrici, profondamente antipopolari, senza essere in grado di risolvere i problemi profondi di Israele.

Assisteremo dunque a campagne elettorali incrociate: Sharon spingerà più sulla Pace mentre Peretz si presenterà come colui che è in grado di risolvere la crisi economica e sociale.

Non direi, in realtà la sinistra farà una campagna sui due fronti, sia le questioni sociali che la pace. Sharon si presenterà invece come l’unico uomo di raggiungere la pace, e batterà essenzialmente su questo tasto. In realtà, quando parla di due stati e due popoli, nessuno sa cosa Sharon abbia davvero per la testa.
Un ruolo molto importante nella campagna elettorale lo giocherà la minaccia nucleare dell’Iran. Il clima di paura che ne può derivare potrebbe aiutare Sharon, che ha un’immagine di duro.
Peretz non è un militare e non ha esperienze in questo campo.

A sinistra lo spazio di Yossi Beilin, il leader del Partito pacifista Yahad, si è notevolmente ridotto.

Beilin può ricoprire qualsiasi incarico tranne quello di Primo ministro. Non ha le caratteristiche di un leader e questo forse lui non l’ha ancora capito. E in più se il Partito laburista si colloca a sinistra il Meretz non ha più ragioni di esistere, perché le sue posizioni vengono adottate dal Labour.
Ma una cosa va detta: l’uomo di sinistra in Israele è destinato ad aver ragione 20 prima degli altri. Sono 20 anni che il Meretz, oggi Yahad, incontra palestinesi e parla dello Stato palestinese.
Dunque il Meretz perde la sua ragion d’essere proprio nel momento in cui le sue posizioni si affermano, e sono fatte proprie dai laburisti.

Il Likud appare invece essersi suicidato, pur di non rinunciare alle sue radici ideologiche, al tabù del Grande Israele, spezzato da Sharon con il ritiro da Gaza.

C’è stata una rivolta ideologica in seno al Likud. Ma c’è stato anche molto opportunismo. Netanyahu è il primo degli opportunisti. Pensavano di poter utilizzare il prestigio di Sharon tenendolo sotto scacco, ma il giocattolo si è spezzato.
Oggi si mordono le mani perché si rendono conto che la maggioranza che avevano in parlamento è oramai un miraggio: dai 40 seggi attuali passeranno a circa una decina.

Quali alleanze potranno formarsi il giorno dopo le elezioni. E che ruolo avranno i partiti religiosi?

Per sopravvivere i religiosi tenteranno a tutti i costi di ritornare al potere, anche con i laburisti come tra l’altro è già successo. La questione è capire quali saranno i rapporti di forza tra il Likud e i religiosi da una parte e tra Sharon e Peretz dall’altra.
Può sembrare ovvio ma tutto dipenderà dai risultati delle elezioni e, nella stessa misura, dagli obbiettivi strategici di Sharon. Se l’obbiettivo è uno Stato palestinese vero, con una continuità territoriale assicurata andrà con i laburisti; se invece vorrà uno Stato palestinese a macchia di leopardo si alleerà con i religiosi e il Likud, che cercherà di moderare il suo linguaggio pur di non restare all’opposizione.

Il pendolo della pace oscilla sulla Cisgiordania. Più precisamente tra quel 3% di cui si era discusso a Camp David e Taba e quel 7% racchiuso oggi dal muro.

I sostenitori di Sharon dicono chiaramente che la barriera sarà la frontiera. Ma la questione è capire dove la barriera passerà effettivamente, a partire dalla città di Gerusalemme.
Non c’è modo di porre fine al conflitto, secondo me, senza affrontare questa questione, ovvero senza accettare una spartizione di Gerusalemme. Come tra l’altro prevede anche il Modello di Accordo di Ginevra.
La seconda questione è quella dei confini, e dunque delle colonie. Faccio un esempio. Se la colonia di Ariel, che è a 25 km di distanza dalla Linea Verde, sarà all’interno della barriera, la Cisgiordania sarà tagliata in due. C’è anche il problema della Valle del Giordano. In quest’area della Cisgiordania si verifica anche un fenomeno molto interessante. In quelle colonie i laici, ovvero coloro che occuparono per primi queste zone, se ne stanno andando e vengono rimpiazzati dai religiosi, molto più ideologizzati, rendendo sempre più complicata l’ipotesi di un loro smantellamento.

 

(ha collaborato Maurizio Debanne)

Zeev Sternhell insegna presso la Facoltà di Scienze Politiche all’Università Ebraica di Gerusalemme. È considerato tra i più autorevoli storici israeliani. Autore di numerosi pubblicati in tutto il mondo, tra i quali “Nascita di Israele. Miti, storia, contraddizioni” edito in Italia nel 2002 da Baldini &Castaldi.

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