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L’Analisi

Medio Oriente Tre scenari

di Ghassan Khatib

Data pubblicazione: 5 marzo 2008

Ci sono diversi motivi per credere che l’attuale escalation di violenza tra israeliani e palestinesi a Gaza continuerà. Ci sono inoltre buoni motivi per credere che entrambe le parti stanno perseguendo obiettivi politici sia a breve che a lungo termine per questa escalation.

Separare Gaza dalla West Bank, de facto e de jure, è una componente della strategia unilaterale di Israele, iniziata con il ritiro da Gaza. Israele spera pertanto, tra le altre cose, di indebolire le aspirazioni palestinesi di creare uno Stato in tutti i territori occupati, che includono la Cisgiordania e Gerusalemme Est.

Questo piano, tuttavia, è stato interrotto dalla vittoria di Hamas alle elezioni parlamentari del 2006 e in seguito, dalla sua occupazione militare di Gaza nel 2007. Israele non può permettere che Gaza, sotto il controllo di Hamas, sia aperta all’esterno attraverso l’Egitto. Questo non solo aumenterebbe le possibilità di sopravvivenza del movimento islamico, ma lo rafforzerebbe dal punto di vista politico e militare. Ha deciso quindi di cambiare strategia, imponendo la chiusura totale della Striscia, già impoverita, per soffocare Hamas e di conseguenza tutta la popolazione civile di Gaza.

Questa tattica adottata da Israele non è stata certo lungimirante. Invece di indurre la resistenza al controllo di Hamas, la drastica chiusura di Israele verso Gaza ha portato l’opinione pubblica internazionale e quella del mondo arabo ad avere ancora più comprensione per il movimento islamico e per gli abitanti di Gaza.
Il peggioramento delle condizioni di vita degli abitanti della Striscia è culminato con l’apertura pubblica della frontiera tra Gaza e Egitto nel mese di gennaio, che è stata vista da molti come una vittoria da parte di Hamas.
Questo ha costretto a un ripensamento della situazione da parte degli israeliani, in vista di una possibile soluzione militare al problema del controllo di Hamas nell’area.

Hamas tuttavia, non può vivere nello status quo creato da Israele e dalla comunità internazionale, per il quale è stato confinato a Gaza, e non è in grado di far fronte alle aspettative di base che la popolazione ha nei suoi confronti e che avrebbe verso qualunque leadership palestinese.
L’apertura della frontiera con l’Egitto del 23 gennaio è stato un tentativo per cercare di alleviare la pressione sul movimento stesso e su Gaza in generale.

Queste due sono state comunque delle vittorie a breve termine. L’Egitto non poteva accettare che una delle sue frontiere fosse stata aperta con la forza e ha insistito per la sua chiusura e per una eventuale riapertura secondo le modalità dell’Accordo sul Movimento e l’Accesso stipulato tra Israele e l’Autorità palestinese nel 2005.
Hamas è riuscita a tenere aperta la frontiera solo per pochi giorni. Ha deciso in seguito, che una escalation militare, rispondendo duramente agli attacchi di Israele, avrebbe fornito una ragionevole via d’uscita alla situazione di impasse che si era venuta a creare.

Poiché entrambe le parti stanno perseguendo un’escalation, un confronto su larga scala sembra tutt’altro che irrealizzabile. Si è discusso molto sullo scopo e sulla natura di questo confronto e sul livello di resistenza di entrambe le parti, anche se l’ipotesi di un’incursione di Israele e il tentativo di rioccupare la Striscia di Gaza sembra quella più vicina alla realtà.

Gli obiettivi di Israele, per quanto riguarda l’attuale escalation, vanno dall’ eliminare Hamas e porre termine al suo controllo su Gaza, fino ad impedire ulteriori attacchi di missili Qassam oltre la frontiera.
Anche Hamas ha una vasta gamma di obiettivi da raggiungere. Primo, il movimento vuole fare in modo di essere percepito come la forza palestinese principale in opposizione all’occupazione israeliana e in questo modo porsi come controparte a Israele.
Questo è da considerare anche un obiettivo interno, alla luce del fatto che i palestinesi lottano contro l’occupazione illegale da parte degli israeliani da 41 anni, qualunque sia la natura della loro leadership.

Un altro obiettivo di Hamas è evitare un confronto diretto e convincere Israele che anche mettendo in campo tutte le sue forze sarà impossibile liberarsi di loro.  Israele, per fare in modo che il lancio di missili possa terminare, deve raggiungere un’intesa con Hamas. Il movimento ha ripetutamente richiesto il cessate il fuoco come un’alternativa alla continua escalation di violenza.  La sua proposta di cessate il fuoco, se si osserva attentamente, non è poi così diversa dall’assetto provvisorio che la leadership dell’OLP cerca di raggiungere con Israele.

Hamas propone di metter fine ai problemi che intercorrono fra le due parti a patto che si ponga fine all’ espansione degli insediamenti e al controllo israeliano sulla West Bank e su Gaza. L’unica differenza è che Hamas non vuole che questo accordo sia ufficializzato ma che sia piuttosto un’intesa di fatto fra le due parti. Inoltre, Hamas non intende perseguire un accordo definitivo ma un cessate il fuoco per un periodo di tempo limitato ma significativo, che in base alle versioni date, andrebbe dai 15 ai 30 anni.

Hamas si è ispirato ad Hezbollah. Quest’ultimo è stato in grado di raggiungere una specie di equilibrio militare con Israele che ha portato Israele a lasciare in pace il movimento, a patto che gli attacchi di missili katyusha fossero sospesi. Hamas sta cercando di raggiungere un equilibrio simile, ma anche se c’è un enorme differenza di livello militare tra le forze di Hezbollah e Hamas, un fattore è da sottolineare: se Israele vuole annientare Hamas ci sarà, compresa nel prezzo, la completa rioccupazione della Striscia di Gaza, cosa di cui Israele ha già una lunga e amara esperienza.

La sola alternativa a questi due scenari, un vero e proprio scontro o un cessate il fuoco, è quella che Israele decida di tornare a negoziare con i palestinesi considerandoli un territorio ed un’entità unica. Questa alternativa richiederà la fine dell’opposizione israeliana ed internazionale alla ripresa del dialogo interpalestinese. Non si esclude la possibile mediazione di governi arabi, inclusi Egitto e Arabia Saudita, con lo scopo di raggiungere un accordo simile a quello della Mecca nel 2007. L’accordo della Mecca installò un governo di unità nazionale propenso ad accettare quasi immediatamente importanti condizioni relative alla legalità internazionale e a perseguire un accordo che mettesse fine al conflitto israelo-palestinese.

Traduzione di Martina Sani

NOTE SULL'AUTORE 

Ghassan Khatib

Membro del Palestinian People's Party.  È stato  membro della delegazione di pace di Madrid nel 1991 ed è stato coinvolto nei negoziati di Washington dal 1991 al 1993. Nel 2002 è stato nominato Ministro del lavoro dell'Autorità nazionale palestinese, poi Ministro della Pianificazione nel 2005-06.  Attualmente è direttore del Government Media Center.

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