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L’Analisi

Effetto domino

di Antonio Ferrari

Data pubblicazione: 3 febbraio 2011

Nessuno può dire quando e come finirà. Ma di sicuro si può fare una previsione: nulla nel  Medio Oriente, e più in generale nel mondo arabo, sarà più come prima. Non solo. Tutto o quasi tutto, nei criteri di valutazione e nelle analisi degli esperti (o presunti tali), dovrà essere rivisto. Perché le certezze sulle quali si leggevano i fatti e si esprimevano opinioni si sono come avvitate, per svanire in un mare di nuovi dubbi.

L’illusione di un Egitto che faceva vibrare di emozione e di ammirazione i guru della finanza internazionale si è scontrata con le coordinate di un paese che vive in povertà. E dalla rotta di collisione sono affiorati tre elementi fondamentali: lo scontro generazionale tra una moltitudine infinita di giovanissimi, tra cui tantissimi laureati, consapevoli di non avere futuro: anzi, in prospettiva, di stare peggio di come stavano i loro genitori; la forza di Internet e dei social network, che  fanno sentire i giovanissimi non soltanto meno soli ma collegati con milioni di coetanei di altri paesi; il desiderio di abbattere il muro dei privilegi e di soprusi ai quali era stata abituata la rassegnata generazione che li aveva preceduti.

Se si vuole vi è stato un mutuo soccorso tra i giovani tunisini, quelli egiziani, quelli yemeniti, in attesa di coinvolgere altri coetanei della grande regione che comprende il Nord Africa e il Medio oriente. Fermenti e manifestazioni già si sono materializzati in Palestina, e in particolare a Gaza, nel regno di Giordania, e persino in Siria, mentre si sviluppa la protesta in Algeria, con possibilità di coinvolgimento della Libia e del Marocco.

Ma se restiamo al Medio Oriente, comprendendo ovviamente quell’Egitto che pur essendo parte dell’Africa settentrionale è il punto di riferimento di tutti i paesi arabi, stiamo assistendo ad una volontà complessiva (ai vertici degli esistenti poteri) di cambiare qualcosa e molto in fretta per evitare di essere travolti. Paradossalmente il gigante egiziano, con i suoi quasi ottanta milioni di abitanti, presenta una importante e stabilizzante novità: la rivolta dei giovani e la grande marcia da un milione di persone per le vie del Cairo è stata accompagnata dalla neutralità (per non parlare di aperta simpatia) delle forze armate. In parte era accaduto anche in Tunisia, ma in maniera diversa. In Egitto i militari, con il loro atteggiamento, si sono guadagnati il rispetto dei manifestanti. E questo può rappresentare un buon viatico per il futuro: con un governo e una guida diversi, entrambi pronti a varare essenziali riforme, e le forze armate che, come prima, garantiscono la stabilità di un Paese che è pur sempre il battistrada del fronte arabo moderato. Che esiste, eccome se esiste!

Ci si consenta di ritenere ingiusto l’appellativo di dittatore rivolto a Hosni Mubarak, che per 30 anni – nonostante assai discutibili strumenti di repressione e di oppressione – è riuscito a tenere unito il Paese, a creare un fronte contro l’estremismo islamico e il terrorismo, a mantenere la pace con Israele e a farla accettare (anche nella sua versione “glaciale”) da un popolo non certo entusiasta di accettarla, e a riportare l’Egitto al suo ruolo di guida, dopo che il Cairo era stato cacciato ai margini della Lega araba per aver fatto la pace con lo Stato ebraico.

Ma se l’Egitto ha qualche antidoto per evitare di finire disgregato, altri rischiano forse di più. Sicuramente i palestinesi. Il vice-presidente egiziano Omar Suleyman, nominato l’altro giorno da Mubarak, appartiene come il presidente a quella casta militare che ha sempre deciso i destini del Paese. Come capo dell’intelligence ha gestito in prima persona il tentativo di riconciliazione tra l’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen e Hamas, che controlla la striscia di Gaza. Ora il rischio di pesanti turbative regionali sta spingendo verso una prossima consultazione elettorale. Ma il contagio non ha risparmiato la Siria, che grazie ai suoi apparati di sicurezza è riuscita finora a evitare che la geometrica potenza del web potesse condizionarla radicalmente. Già si annunciano manifestazioni, anche perché i giovani sono sicuri che l’apparato repressivo potrebbe essere più timoroso, visto che gli occhi del mondo sono tutti puntati sul Medio Oriente. Le cosiddette “repubbliche ereditarie” stanno davvero tremando: il presidente tunisino Ben Ali è in esilio; il figlio di Hosni Mubarak, Gamal, è a Londra senza più sogni di gloria; il presidente yemenita Saleh è aspramente contestato. E qualche serio problema arriverà presto (forse è già arrivato) per il presidente siriano Bashar el Assad.

Anche il vicino regno di Giordania non è tranquillo. Là non sono certo in discussione la monarchia e il ruolo di re Abdullah II. Tuttavia, come si sa, il 65 per cento della popolazione è di origine palestinese, e il sovrano progressista continua a procedere con aggiustamenti. Ha già nominato un nuovo capo del governo per fronteggiare le proteste provocate dagli aumenti dei prezzi.

Resta il Libano, costante bandiera dell’instabilità. Là il problema non è la povertà, ma è il denaro a consolidare o a frantumare tutti i possibili fronti. Ecco perché mai, come oggi, tutto è sfuggente e complicato. Occorrerà tempo per vedere quali saranno le conseguenze di questo tsunami. O “cigno nero”, cioè l’evento che pareva impossibile o altamente improbabile, come è stato detto al recente vertice di Davos.

NOTE SULL'AUTORE 

Antonio Ferrari

Giornalista e scrittore, nato a Modena nel 1946. Ha cominciato come cronista al «Secolo XIX» di Genova, e dal 1973 è al «Corriere della Sera»: inviato speciale ed editorialista. Dopo aver seguito gli anni del terrorismo italiano, con le trame nere e rosse, è passato all'estero. Prima in Europa e nei Paesi dell'Est comunista, per approdare nei Balcani, nel Medio Oriente e in Nord Africa. Ha seguito quasi tutte le crisi di queste regioni, le guerre, i tentativi di pacificarle. Ha intervistato, nel corso degli anni, quasi tutti i leader di un'area estesa ed estremamente variegata. È membro del Comitato scientifico del CIPMO (Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente) e di Gariwo (La foresta dei Giusti).

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