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L’Analisi

Israele, il meccanismo della democrazia

di Francesco Maria Talò

Data pubblicazione: 31 gennaio 2013

L’intensità dell’esperienza democratica israeliana è particolare. Una democrazia vissuta intensamente dà un senso concreto ad affermazioni che talora possono suonare come retoriche. Questa è davvero una società vibrante che alimenta una democrazia piena di problemi e contraddizioni, come in fondo è naturale che sia, ma autentica ed estremamente interessante da osservare.

Per il mio ruolo più che addentrarmi in valutazioni sui risultati delle elezioni che il 22 febbraio hanno rinnovato la Knesset, il Parlamento israeliano, vorrei limitarmi a qualche considerazione di ordine generale.

Sono arrivato in Israele nel mezzo dell’estate scorsa, pochi mesi prima erano state annunciate le elezioni anticipate per inizio settembre, esse, subito dopo, si sono riallontanate in seguito alla costituzione di un’ampia coalizione di governo. Tale nuovo assetto è però tramontato rapidamente, ma ancora in estate si riteneva che la legislatura potesse proseguire fino alla sua scadenza naturale, nell’autunno del 2013. Invece, in ottobre, la Knesset si è sciolta e quindi alla fine si sono tenute le elezioni con alcuni mesi di anticipo. Non vorrei tanto soffermarmi sui risultati in termini di distribuzione dei seggi, che altri molto più opportunamente e con maggiore competenza potranno commentare, quanto riflettere sulla mia esperienza di osservatore impegnato a cercare di comprendere e riferire.

Devo innanzitutto dire che l’essere italiano aiuta. Qui la quantità di informazioni disponibile è enorme, quasi eccessiva, e le analisi fornite dagli organi di informazione mi sembra che spicchino per la loro acutezza ed anche arguzia, ma certo il quadro politico è complesso ed è reso ancora più difficile da interpretare per la sua fluidità ma, appunto, noi italiani abbiamo qualche maggiore capacità di altri nel districarci in tale dinamismo politico. A condizione, naturalmente, di tener conto della specificità del quadro israeliano e della regione in cui si inserisce.  Un paese estremamente articolato e allo stesso tempo con forti elementi di coesione dà vita a un pluralismo vivace. In uno spazio relativamente esiguo convivono persone provenienti da quasi ogni parte del mondo, i loro genitori (o loro stessi) parlavano lingue diverse, ma sono accumunati dalla volontà di contribuire alla crescita di un paese che in 64 anni di vita ha compiuto un balzo straordinario in termini di sviluppo economico e sociale, ma anche dal punto di vista demografico. La popolazione ebraica è passata da circa 500.000 cittadini a oltre sei milioni. Nel suo ambito cresce fortemente il peso di una componente molto caratterizzata dal punto di vista religioso e accanto ad essa è importante il peso di cittadini arabi, che contribuiscono alla democrazia israeliana eleggendo i membri del Parlamento. Qui, forse più che in qualsiasi altro luogo, democrazia si coniuga con demografia. Una demografia impetuosa, quella israeliana, che è stata approfonditamente studiata da un italiano, Sergio Della Pergola, il quale con le sue ricerche ha fornito un contributo indispensabile per chi vuole davvero comprendere la storia e il futuro di questo paese e della sua democrazia.

Una grande specificità israeliana è determinata dal fatto che qui la democrazia è intrinseca nell’identità fondante dello Stato. Israele è ebraico e democratico, altrimenti non è. Ecco quindi emergere evidente la capacità di questa democrazia di continuare ad affermarsi mentre il paese cresceva e si trasformava impetuosamente e tutto ciò in un territorio piccolo e soprattutto circondato da vicini rispetto ai quali la norma non è stata quella di un rapporto di amichevole collaborazione bensì di aspro confronto e spesso di conflitto. Oltretutto, molti dei nuovi cittadini israeliani provenivano da esperienze prive di una cultura democratica occidentale come quella che qui si è affermata, per non parlare del quadro politico interno di gran parte dei paesi vicini. Eppure la democrazia israeliana ha retto a tutto ciò.

Una democrazia solida, quindi, ma allo stesso tempo – come ho visto in questi pochi mesi – estremamente magmatica. La sua fluidità (con i problemi che comporta), la sua articolazione che può confondere un occhio meno allenato di quello di un italiano, ha forse contribuito alla capacità di resistere a tanti sviluppi interni e drammatici eventi esterni. Le elezioni appena svoltesi hanno confermato un quadro dinamico, il ritratto del nuovo Parlamento è molto cambiato e gli analisti hanno subito affermato che ciò è dovuto in gran parte a causa delle istanze di vasti ceti sociali, che forse anche in tal modo hanno risposto ai cambiamenti demografici. La composizione del nuovo governo seguirà una complessa dialettica che è già in corso tra le forze politiche (e anche tale dibattito per noi italiani è più facile da comprendere). Ciò che intanto dal mio punto di vista di osservatore di fenomeni generali è interessante è il fatto che la nuova Knesset avrà un numero quasi senza precedenti di nuovi parlamentari (saranno 47 su un totale di 120). Per evidenziare tale elemento una studiosa del parlamentarismo israeliano, Susan Hattis Rolef, sul Jerusalem Post del 28 gennaio ha voluto assimilare tale cambiamento a quello registrato dal Parlamento italiano all’inizio degli anni ’90. In Israele però ciò accade senza che si sia verificata una grande modifica del sistema dei partiti e della legge elettorale né dopo clamorose inchieste giudiziarie. Si tratta insomma di una metamorfosi continua e quasi naturale che questa volta ha anche implicato una crescita del numero di donne parlamentari (sono adesso 27) e soprattutto l’emergere di un nuovo partito (i centristi di Yesh Atid), che subito diviene la seconda formazione politica in ordine di grandezza. Già altre volte si sono peraltro registrati fenomeni di crescita (e poi scomparsa) di partiti politici che hanno preso il posto accanto a quelli tradizionali. Anche questo è un interessante elemento del dinamismo democratico israeliano.

Il tutto, nonostante le sfide dell’ambiente interno ed esterno cui ho fatto cenno, avviene però senza violenti scossoni. La campagna elettorale è stata naturalmente vivace, ma anche civile. C’e’ un episodio che mi ha colpito. In gennaio sono stato invitato ad assistere ad un dibattito elettorale ospitato da una scuola superiore vicina a Tel Aviv. Importanti candidati dei principali hanno accettato di trascorrere diverse ore insieme a studenti, la maggior parte dei quali non aveva l’età per votare. Si è svolta una sorta di tribuna elettorale moderata da uno studente alla quale i politici hanno partecipato con impegno e vivacità e che i ragazzi (che evidentemente hanno spesso già le proprie convinzioni) hanno seguito con passione, ma anche con rispetto nell’ascoltare le opinioni divergenti. Finito il dibattito, i candidati sono rimasti a chiacchierare liberamente con i giovani, che poi hanno espresso il proprio voto con una simulazione elettorale simile a quelle – ormai diffuse qui come in Italia – volte a sviluppare una didattica relativa al sistema delle Nazioni Unite. Ebbene, in questo caso ho assistito a una didattica della democrazia con una formula che in Israele è piuttosto comune.

Questo episodio di una campagna elettorale avviatasi mentre Israele era minacciato dai razzi provenienti da Gaza e conclusasi con un risultato di cui altri sapranno commentare le complessità mi pare che illustri meglio di qualsiasi altro elemento la democrazia israeliana. Difficoltà e limiti di ogni sistema democratico sono forse qui evidenziati ancora più che altrove, ma qui meglio che altrove si comprende come non abbiamo altro metodo migliore per la vita politica dei nostri paesi. Democrazia ed elezioni libere con tutti i loro problemi rimangono la migliore tra le soluzioni.

Francesco Maria Talò, Ambasciatore d’Italia in Israele

Articolo pubblicato nella newsletter CIPMO “Israele, il giorno dopo le elezioni”

NOTE SULL'AUTORE 

Francesco Maria Talò

Già ambasciatore italiano in Israele e oggi coordinatore per la cyber security alla Farnesina.

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