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L’Analisi

Perché Erdogan ha vinto

di Carlo Marsili

Data pubblicazione: 2 novembre 2015

C’è da chiedersi come sia stato possibile che in meno di cinque mesi dalle elezioni del 7 giugno, AKP si sia ora trionfalmente reinstallata alla guida del Paese. Senza i numeri per modificare l’assetto istituzionale in senso presidenzialista, è vero, ma comunque in grado di attuare per i prossimi cinque anni un semipresidenzialismo di fatto.

Le risposte sono varie. Innanzi tutto l’elettorato si è reso conto che, nonostante il 60% dei voti complessivi e un’ampia maggioranza in Parlamento i partiti di opposizione non erano stati in grado non solo di formare in qualche modo un Governo alternativo ma neppure di eleggere il Presidente del Parlamento. AKP ne ha immediatamente profittato intraprendendo sterili trattative con CHP ma ponendosi l’obiettivo di nuove elezioni per rovesciare a suo vantaggio il risultato. Del resto AKP non è una forza politica da coalizione. In questi dodici anni di potere è penetrata in tutti i gangli dello Stato senza eccezione alcuna e sa benissimo che l’eventuale ingresso di un altro partito al Governo rimetterebbe in discussione tutto il lavoro svolto per affermarsi come “unico interprete” della volontà nazionale. In ciò erede delle giunte militari che seguirono i colpi di Stato del 1960,1971,1980.

Inoltre ha giocato molto il timore dell’instabilità politica, economica, sociale. La caotica situazione emersa dopo le elezioni del 7 giugno, gli attentati dell’ISIS, le violenze del PKK, hanno consentito al Presidente Erdogan di presentarsi come l’unico garante dell’ordine, trovando ascolto in vasti settori nazionalisti ( da cui la perdita di voti di MHP) e degli stessi curdi conservatori (da cui il ridimensionamento di HDP). Il richiamo religioso gli è valsa altresì la conquista di seggi marginali , attraendo voti dai piccoli partiti islamo-nazionalisti (Saadet , BBP) che in qualche caso hanno fatto la differenza.

Infine va rilevato il grande lavoro organizzativo di AKP, certamente supportato dall’apparato statale , che agendo da rullo compressore ha messo in ombra la propaganda degli avversari facendo naturalmente la parte del leone nei mass media (tanto che il rapporto degli osservatori OSCE ha giudicato con molta severita’ questa “impar condicio” ). Tuttavia da anni si sa che l’Opposizione lavora meno e meno bene del partito di Governo sia a livello centrale che periferico.

Quindi, altri cinque anni di stabilità, il che di per sé è un fatto positivo. Ma i nodi al pettine turco si chiamano violenze nel sud est del Paese, incerta evoluzione della guerra in Siria, ridotta crescita economica, abissale spaccatura a metà della società civile. Nodi che si faranno sentire in futuro e che non potevano essere risolti dal voto di domenica scorsa.

 

Questa analisi di Carlo Marsili, già Ambasciatore d’Italia ad Ankara, è stata scritta per la Newsletter CIPMO “Effetto Erdogan”.

NOTE SULL'AUTORE 

Carlo Marsili

Primo Vice Console a Monaco (1973-1975), Primo Segretario a Bangkok (1975-1978), Consigliere politico ad Ankara (1979-1981), Console Generale per la Scozia e Irlanda del Nord a Edimburgo (1984- 1988), vice consigliere diplomatico del primo ministro (1988-1993) e vice capo della missione in Germania (1993-1998). Successivamente Ambasciatore in Indonesia nel 1998, dal 2004 al 2010 è stato Ambasciatore in Turchia.

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