L’Editoriale

Obama – Netanyahu. Incontro tra due debolezze

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 8 luglio 2010

L’incontro tra Obama e Netanyahu può essere definito un incontro tra due debolezze. Il Presidente americano si è trovato costretto ad accogliere con tutti gli onori che si riservano a un amico importante un leader che solo pochi mesi fa, a marzo, aveva trattato come uno scolaro in castigo che doveva ripassare la lezione. Questa volta non è mancato neanche l’incontro tra le due first ladies.

Molti sono i fattori che hanno spinto Obama a questa conversione: la preoccupante imminenza delle elezioni di mezzo termine di novembre, e l’esigenza di non alienarsi ancora di più l’influente elettorato ebraico; l’andamento più che negativo delle crisi afgana e irakena, che non fanno prevedere un miglioramento a breve termine; il confronto in atto con l’Iran, con le recenti sanzioni votate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e aggravate ulteriormente dagli USA. Abbastanza per non rilanciare la tensione con l’alleato israeliano, per ammorbidire i toni.

Ma anche Netanyahu ha i suoi problemi: la coalizione da lui diretta vede la presenza di componenti riottose, sia fuori che dentro lo stesso Likud, che hanno mal sopportato la moratoria degli insediamenti in Cisgiordania, nonché quella di fatto praticata anche a Gerusalemme, e sono pronti alla sfida e alla ribellione qualora si cercasse di prorogarla alla sua scadenza a settembre. Sono queste le forze che soffiano sul fuoco nello scontro apertosi con la Turchia dopo il sanguinoso incidente con la Freedom Flotilla, rendendo vano finora ogni tentativo di ricomposizione, portato avanti da settori del Partito laburista e dagli USA. Se il processo di pace venisse accelerato, tutta quest’area entrerebbe in fibrillazione, rendendo necessario il ricorso al sostegno del Partito Kadima di Tzipi Livni.

Questa situazione induce il Premier israeliano ad una gestione giorno per giorno, e senza respiro: egli prende decisioni importanti solo se costrettovi dalle circostanze, come è stato per la sostanziale attenuazione del blocco economico di Gaza, effettuato sotto la pressione internazionale dopo l’incidente con la nave turca, e senza quindi riceverne i benefici che avrebbero potuto esserne tratti, anche in relazione al negoziato in atto con Hamas per il rilascio del soldato israeliano Shalit.

Sono state le pressioni di Obama, in questo anno e mezzo di presidenza, a produrre alcuni cambiamenti sostanziali: la accettazione, per quanto condizionata, della proposta due stati due popoli; la moratoria degli insediamenti in Cisgiordania e quella di fatto a Gerusalemme; la attenuazione del blocco a Gaza.

Tuttavia, Netanyahu ha potuto presentarsi a Washington come un leader che non ha ceduto alle pressioni dell’alleato, che ha saputo manovrare all’interno del sistema e dell’equilibrio delle forze negli USA per arginare l’iniziale impatto di Obama, ma anche dimostrarsi sufficientemente ragionevole e flessibile nei momenti di crisi più acuta. Sul breve termine, è stato lui ad uscire più forte dall’incontro.

Nel corso della discussione, i due hanno circumnavigato la questione della moratoria degli insediamenti, senza affrontarla direttamente; hanno auspicato insieme il rapido passaggio a negoziati diretti israelo-palestinesi, prima del prossimo settembre (come ha auspicato Obama pensando alla moratoria); sull’Iran, essi hanno riconfermato l’importanza della loro alleanza strategica; persino sulla questione nucleare il Presidente USA ha sostanzialmente riconfermato la tradizionale linea rispetto alla politica di ambiguità fin qui perseguita dagli israeliani, sottolineando le particolari esigenze di sicurezza dello Stato ebraico.

Il leader israeliano sbaglierebbe, tuttavia, a cullarsi nell’indubbio successo di immagine ottenuto, che lo rafforza anche all’interno rendendo meno urgente la pressione per un ricambio di governo.

A settembre, vanno addensandosi una serie di scadenze irte di difficoltà, dal termine della moratoria, alla scadenza dei negoziati indiretti con i palestinesi, alla convocazione della Assemblea generale dell’ONU: in vista delle elezioni di novembre USA può succedere di tutto, anche avvenimenti gravi e improvvisi.

Se in questi mesi venissero a mancare i promessi atti di buona volontà israeliani verso i palestinesi e se nei negoziati di “prossimità” non venissero avanzate proposte interessanti, Netanyahu potrebbe venire a trovarsi di fronte a proposte complessive di pace, di un Obama oramai libero da scadenze elettorali ravvicinate, proposte a cui sarebbe difficile rispondere solo con la tattica del rinvio e delle concessioni parziali.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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