L’Editoriale

Netanyahu – Abbas. Appuntamento al buio

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 1 settembre 2010

Netanyahu rivedrà oggi Mahmud Abbas dopo un anno e mezzo, alla presenza di Obama, di Mubarak e del Re giordano Abdallah, e a partire da domani inizieranno i negoziati diretti, destinati a durare un anno. Si tratta, come strenuamente voluto dal leader israeliano, di negoziati al buio, “senza precondizioni”, come ha sottolineato la stessa Clinton nel suo annuncio ufficiale; questo malgrado le richieste pervicacemente avanzate da parte palestinese che si fissassero almeno alcuni parametri di riferimento, o che vi fosse l’impegno a prorogare la moratoria sugli insediamenti in Cisgiordania. A piegare l’ostinata resistenza di Abbas la posizione assunta dalla Lega Araba, che lo ha di fatto scavalcato autorizzando i negoziati diretti, e soprattutto la decisa pressione degli USA, che sono arrivati a minacciare larvatamente la sospensione degli aiuti internazionali alla ANP. Novembre si avvicina, con le sue elezioni di mezzo termine, e Obama deve mostrare qualche progresso al suo elettorato, in particolare quello ebraico, date le cattive notizie dall’Iraq e da Afghanistan e Pakistan. Una foto opportunity è poco, ma è meglio che niente.

Lo stesso Quartetto (USA, Russia, UE e ONU), che in marzo aveva emesso un comunicato durissimo, ribadendo tra l’altro la condanna di ogni espansione degli insediamenti anche a Gerusalemme Est, ha ripiegato il 20 agosto su un annuncio più anodino, con riferimenti solo alle precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e alla Conferenza di Madrid del ’91, saltando a piè pari gli accordi di Washington del ’93, la Road Map e la dichiarazione di Annapolis del 2007, malvisti dal Likud: unico elemento significativo, non a caso omesso dalla Clinton nella sua dichiarazione, è il riferimento al Piano Arabo di pace (subito sottolineato con enfasi dai palestinesi), che postula il riconoscimento arabo di Israele in cambio del ritiro dai territori occupati nel ’67 e della creazione di uno Stato palestinese. La stessa presenza di Mubarak e Re Abdallah alla cerimonia di apertura vuole costituire, da questo punto di vista un elemento di garanzia e di richiamo al quadro arabo.

Altro elemento importante è il coinvolgimento diretto nella trattativa degli USA, che si riservano una funzione di stimolo e la possibilità di presentare proposte ponte per superare i gap tra le parti.

Il Presidente Mahmud Abbas esce male da questa fase prenegoziale, e si è trovata esposto alle raffiche polemiche di Hamas, e anche di altri gruppi palestinesi della sinistra laica, una cui manifestazione a Ramallah è stata dispersa con estrema durezza.

Netanyahu arriva quindi a Washington da una posizione di forza: chi ricorda l’umiliante incontro cui lo aveva sottoposto a marzo Obama, dopo l’incidente sugli insediamenti con il Vice Presidente Joe Biden? Il Premier israeliano oggi si presenta come un leader capace di aperture, che ha accettato la posizione “Due stati due popoli” e ha deciso la moratoria negli insediamenti; ma che ha saputo anche tener testa al Presidente degli Stati Uniti, utilizzando anche i contatti  nella Camera e nel Senato USA e non esitando a giocare la pressione delle lobby ebraiche; un leader forte del sostegno della sua opinione pubblica, con una coalizione di governo che ha retto e con la possibilità di ricorrere anche a nuove maggioranze, se necessario; con una opposizione ridotta al silenzio, non in grado di presentare proposte alternative.

Una situazione del tutto diversa da quella di Barak a Camp David II, oramai privo di maggioranza parlamentare, o di Olmert dopo Annapolis, delegittimato dalla guerra in Libano e sotto inchiesta per corruzione.

Tuttavia, proprio ora cominciano i problemi: non si tratta più di discutere di procedure e pregiudiziali, ma di cosa bisogna fare sulle questioni centrali: i confini, la sicurezza, Gerusalemme, gli insediamenti, i rifugiati. Hic Rhodus, hic salta, si potrebbe dire.

Proprio perché è così forte, Netanahu potrebbe avanzare delle proposte importanti, significative e innovative, sorprendendo i palestinesi e il mondo. Non è detto che non lo faccia, pur continuando a difendere senza esitazioni gli interessi di sicurezza del suo paese ed il suo carattere ebraico. Ma è estremamente difficile, data la sua storia e le sue convinzioni: il rischio che ancora una volta ricorra al surplace, alla pratica del cerino acceso, è grande.

La prima verifica è la scadenza della moratoria sugli insediamenti, il 26 settembre: forse sarà possibile uscirne in via pratica, non prorogando il blocco ma continuando a applicarlo in via di fatto, come già a Gerusalemme Est. I coloni lo temono, e sono già sul piede di guerra.

La durata prevista per il negoziato, di un anno invece dei due richiesti dagli israeliani, segna un punto a favore dei palestinesi, che temono di trovarsi di nuovo impelagati in una trattativa senza risultato: Nell’agosto 2011 giungeranno al termine i due anni previsti dal piano del Premier palestinese Fayyad per la costruzione dello Stato palestinese dal basso, e a quel punto, in caso di un esito negativo della trattativa, essi potrebbero portare la questione a livello di Assemblea Generale dell’ONU, con il sostegno della Lega Araba, ottenendo il riconoscimento del loro Stato.

Tra un anno sarà finito anche il ritiro degli USA dall’Iraq: è quindi un loro interesse primario dare stabilità all’intera area mediorientale prima di quella data, quando essi sperano di dare avvio al ripiegamento anche dall’Afghanistan.

Infine, tra un anno, secondo molti degli esperti, l’Iran arriverà a padroneggiare la tecnologia per produrre l’arma nucleare, e il raccordo USA – Israele dovrà tener conto anche di questo fattore, in un complesso gioco di bilanciamenti e controbilanciamenti, che potrebbe favorire una maggiore apertura di Israele verso i palestinesi e il mondo arabo, in grado di favorire la creazione di una larga coalizione moderata per arginare la minaccia di Teheran.

Molto si potrà capire dopo novembre, quando Obama sarà più libero e meno condizionato dalle elezioni di mezzo termine e i nodi del negoziato cominceranno a venire al pettine.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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