L’Editoriale

Mediterraneo. I diritti delle minoranze

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 19 maggio 2011

La questione delle minoranze etniche e religiose nel Mediterraneo è sempre più essenziale, nella ricerca di una democrazia compiuta.
A distanza di alcune settimane dal Convegno internazionale sulle Minoranze nel Mediterraneo, promosso dal CIPMO a Torino a inizio aprile, è lo stesso sviluppo dei fatti a confermarlo. Quello che è in corso, in molti di questi paesi, non è una semplice battaglia per la democrazia, ma uno scontro duro tra maggioranze e minoranze al potere. Minoranze che nelle diverse realtà si scambiano spesso i ruoli. Così, la minoranza sunnita, in Bahrein, domina su una schiacciante maggioranza sciita (grazie anche all’appoggio militare della sunnita Arabia Saudita), così come in Siria è una minoranza alawita (setta collaterale sciita) a dominare sulla maggioranza sunnita. Si tratta di una battaglia senza quartiere, dato che queste minoranze sanno che soccombere significherebbe rinunciare al potere e ai privilegi di cui hanno fruito finora, ed essere trattate dai vincitori con la stessa moneta.

Anche su una scala più larga si può parlare di maggioranze e minoranze speculari: i cristiani, maggioranza in Europa, sono minoranza nei paesi arabi, ove invece sono maggioranza i musulmani, minoranza spesso contrastata in Europa. Gli ebrei, larga maggioranza in Israele, sono minoranza in Europa e nel mondo arabo. Il problema è di non fare di questo “effetto specchio” l’occasione di una resa dei conti. Ma ciò richiederebbe un diverso approccio diverso alla questione.

Nei Paesi del Sud Mediterraneo le minoranze, spesso pre-esistenti alla formazione dei rispettivi Stati, vengono concepite come una presenza da tollerare e da controllare, nonché come un possibile fattore di indebolimento delle diverse realtà statuali. Più in generale, si riscontra una difficoltà a riconoscere la stessa esistenza delle minoranze in quanto tali. Si afferma che si tratta di cittadini come tutti gli altri, che non necessitano di alcun riconoscimento o tutela particolari. E’ evidente, in tale approccio, l’imprinting della rivoluzione francese (poi ancora rafforzato in periodo napoleonico), che postula l’eguaglianza degli individui e delle religioni ma respinge decisamente i diritti collettivi delle minoranze, onde proteggere e consolidare il potere dello Stato centrale.
Eppure, i problemi e le tensioni ci sono, in tutta l’area. Lo si è visto con gli scontri di inizio anno ad Alessandria, tra copti e musulmani, che sono stato in qualche modo l’innesco della successiva rivoluzione democratica; in Algeria e Tunisia, con i berberi (che tuttavia in Marocco hanno ottenuto un importante riconoscimento nel discorso alla nazione pronunciato il 9 marzo dal Re Mohammed VI); lo si registra in Israele, dove la tensione tra maggioranza ebraica e minoranza israelo-palestinese si fa sempre più forte; in Turchia, ove il quoziente minimo previsto dalla legge elettorale impedisce di fatto una rappresentanza diretta delle zone curde, e parlare di questione armena significa ancora rompere un tabù.

Per contro l’esperienza europea, pur non priva di limiti e contraddizioni, ha sviluppato un approccio complesso e articolato alla questione delle minoranze etniche e religiose, volto a riconoscerle collettivamente, a garantirle e a tutelarle. Il diritto delle minoranze è stato chiaramente espresso, ad esempi, dal Libro Bianco sul dialogo interculturale, “Living Together as Equals in Dignity”, lanciato dal Consiglio di Europa il 7 maggio 2008, e da altre significative prese di posizione dello stesso Parlamento europeo.

Persistono tuttavia complessi problemi di convivenza e integrazione. Non si può ignorare ad esempio l’esito del referendum sui minareti delle moschee, svoltosi nel novembre 2009 in  Svizzera, o le contraddizioni che troppo spesso esplodono quando si tratta di localizzare e autorizzare la costruzione di una moschea: come se la questione dei musulmani in Europa fosse solo un problema di immigranti da tenere a bada, e non in molti casi di cittadini a pieno titolo, che chiedono di esercitare il loro diritto di libertà religiosa.
Per non parlare delle difficoltà che si incontrano nella gestione dei rom, che pure con l’ingresso della Romania nella UE godono oramai della cittadinanza europea.

Su tutte questi aspetti, si possono enucleare alcuni principi generali.
Il problema delle minoranze non può essere affrontato e risolto caso per caso, ma necessita di riferimenti generali e di un approccio complessivo e condiviso, l’unico in grado di dare risposte non frammentarie e basate solo su rapporti di forza.
In secondo luogo, si può affermare che non è sufficiente enunciare l’eguaglianza dei diritti di tutti i cittadini in quanto individui: è evidente che i diritti delle minoranze in quanto tali verrebbero in tal caso ignorati, e gli stessi diritti individuali dei loro membri sarebbero a rischio.
La protezione delle minoranze richiede dunque, per essere effettiva, che venga assicurato un loro riconoscimento collettivo, comprensivo della loro identità e della loro storia.
Essa postula inoltre l’adozione di specifiche misure positive volte a salvaguardare la loro identità e il loro sviluppo.
Al riguardo, l’esperienza italiana è certamente tra le più significative e avanzate. La condizione delle minoranze tedesca e ladina in Alto Adige, in particolare, vede tali minoranze non solo riconosciute e garantite attraverso la concessione di una larga autonomia, ma tutelate con specifiche azioni positive, nell’uso della lingua, nella gestione della scuola, nella distribuzione dei finanziamenti e nella garanzia di proporzionalità nel pubblico impiego e negli stessi organi rappresentativi. Essa rappresenta sicuramente una delle esperienze più avanzate in Europa, fondata sull’articolo 6 della Costituzione Italiana, che sancisce che “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”. Non si vuole certamente proporre, con ciò, un modello da applicare astrattamente, ma una esperienza importante e ricca di contenuti. Non dimentichiamo che anche in Alto Adige, negli anni ’60, esplodevano le bombe irredentiste, mentre oggi italiani e tedeschi forse non si amano, ma certamente convivono in pace, e pensano al promettente sviluppo comune, nel comune e più ampio contesto garantito dalla stessa Unione Europea.

Si può affermare, per concludere, che la persistenza dei conflitti etnici e religiosi costituisce un limite grave alla espansione della “rivoluzione democratica postislamista” nei diversi paesi arabi.

In tutta quest’area, la questione delle minoranze può dirsi in larga parte un problema ignorato e comunque irrisolto:  ciò può rappresentare un limite e una barriera rispetto allo sviluppo della rivoluzione democratica araba, che non potrà dirsi compiuta se non sarà in grado di misurarsi con tali questioni.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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