L’Editoriale

Siria. Il dilemma di Israele

di Janiki Cingoli Presidente del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente

Data pubblicazione: 3 aprile 2012

Israele ha assunto un atteggiamento particolarmente cauto verso la crisi siriana: a parole, non mancano le dichiarazioni di condanna per i massacri del regime. Ma non c’è nulla che faccia trasparire un particolare trasporto per la vittoria delle opposizioni.

Il motivo è chiaro: i ribelli sono espressione della maggioranza sunnita del paese, ed alla loro testa vi sono quegli stessi Fratelli musulmani che nel 1982 furono schiacciati nel sangue ad Hama da Assad padre, Hafez, con oltre ventimila morti. Quegli stessi Fratelli che si stanno impadronendo dell’Egitto (è di questi giorni la notizia che intendono proporre un loro candidato, Khairat al Shater, alle prossime elezioni presidenziali di maggio, malgrado tutti i loro precedenti e opposti impegni); hanno ottenuto la vittoria in Tunisia e in Marocco; anche in Giordania si fanno sempre più combattivi e presenti; e sono strettamente collegati alla Turchia di Erdogan, che invece ha quasi interrotto i rapporti diplomatici e militari con Israele.

D’altronde, Israele non può ignorare il crescente attivismo delle altre componenti sunnite, dall’Arabia Saudita al Qatar, che di questo schieramento sta diventando la punta di lancia: un attivismo testimoniato dalla nuova incisività dell’azione sviluppata dalla Lega araba, che ha espresso in questi mesi le parole di condanna più forti e le più nette richieste di cambiamento del regime. Di questa famiglia sunnita, non va dimenticato, fa parte integrante anche Hamas, che è in qualche modo una costola dei Fratelli musulmani egiziani, che pure stanno cercando di esercitare sul gruppo che controlla Gaza un’influenza moderatrice.

Israele si sente in qualche modo accerchiato e soffocato da questo “arco sunnita”, in via di estensione e rafforzamento. Dopo aver perso l’amicizia della Turchia, è oramai privo anche del solido punto di riferimento egiziano rappresentato da Mubarak: anche se i Fratelli musulmani e persino i salafiti hanno dato assicurazioni agli Stati Uniti di voler rispettare il trattato di pace di Camp David.

Va detto, tuttavia, che il conflitto siriano mette in qualche modo in crisi quello che viene dipinto oggi come il peggior nemico dello stato ebraico, l’Iran. L’arco sciita, guidato da Teheran, e che attraverso l’Iraq e la Siria si estende fino al Libano controllato dagli Hezbollah, perderebbe la sua continuità se il bastione siriano cadesse. Già oggi, Hezbollah risente pesantemente della crisi del regime degli Assad, ed è sulla difensiva, asserragliato nei suoi bastioni nel Sud del paese: non è un caso che il druso Jumblatt, che fiuta sempre prima dove va il vento, abbia annunciato la sua uscita dalla maggioranza di governo.
Sarebbe naturale un’alleanza di Israele con l’arco sunnita in funzione antiraniana, ma questo comporterebbe una soluzione del problema palestinese, che certo oggi non è all’ordine del giorno per il governo Netanyahu.

Ma l’incognita siriana per Israele è troppo alta. Certo, non sono mancati in tutti questi anni i momenti di scontro e le prove di forza, come il bombardamento del sospetto sito nucleare siriano, effettuato dagli aerei con la stella di David nel 2007. Ma la caduta di Assad, che in tutti questi anni per lo stato ebraico ha rappresentato “il miglior nemico”, appare come un vaso di Pandora da cui non si sa cosa potrà uscire.
Per questo, Israele guarda con interesse al tentativo di mediazione espresso dall’inviato speciale dell’Onu, Kofi Annan, che ha abbandonato la richiesta preliminare di dimissioni di Assad per aprire le trattative, richiesta che invece era stata avanzata dalla Lega araba e dalle prime proposte di risoluzione presentate al Consiglio di sicurezza. Proposte che avevano incontrato il veto della Russia e della Cina, le quali invece ora appoggiano il piano di Annan. La nuova mediazione chiede altresì la cessazione delle attività armate da entrambe le parti, e non solo da parte del regime.

Malgrado l’accettazione del piano da parte di Assad, i morti continuano a insanguinare le strade siriane. Le vie della pace e della ricomposizione appaiono ancora lontane, ma forse sono meno impercorribili, e si può star certi che di quel percorso Israele sarà un controllore attento.

NOTE SULL'AUTORE 

Janiki Cingoli

Janiki Cingoli si occupa di questioni internazionali dal 1975. Dal 1982 ha iniziato ad occuparsi del conflitto israelo-palestinese, promuovendo le prime occasioni in Italia di dialogo tra israeliani e palestinesi e nel 1989 ha fondato a Milano il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (CIPMO), che da allora ha diretto fino al 2017 quando ne è stato eletto Presidente.

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